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I sogni in tasca

di Italo Moscati
  Eva Green,  Michael Pitt, Louis Garrel (The Dreamers)
Data di pubblicazione su web 12/11/2003  
Ho visto The Dreamers di Bernando Bertolucci alla Mostra del cinema di Venezia. E subito ho invitato a mettere "giù le mani" dal film. Mi rivolgevo a tutti coloro che, dopo le proiezioni al Lido, hanno cominciato a far spallucce in quel modo tipicamente italiano che sembra fatto apposta per sottolineare un giudizio un po' snob, negativo quanto basta, per non dare importanza né al film né alla possibilità di parlarne o riparlarne. È vero. Bernardo non ha bisogno di avvocati difensori. Anzi: di difensori "vicini e lontani" ne ha molti, moltissimi, come li aveva la buonanima di Nunzio Filogamo ai vecchi tempi dei primi Festival di Sanremo. Talvolta, però, questi avvocati possono essere assai strani. Invece di argomentare, subito sfoderano dalla manica della giacca e lo mettono sul piatto l'asso dei superlativi: "bellissimo", e poi lo accompagnano con un ravanello, un filo di carota, una patata lessa come si fa con un arrosto quando s'intende forse coprirne il sapore.

Inoltre, se questi difensori decidono che la partita si gioca sul piano delle valutazioni politiche, essi stessi arrivano a inventare associazioni di parole audaci e ideologiche, ed è avvenuto per la penna di un critico o meglio di una critica che ha stabilito una equivalenza fra il sangue dell'imene lacerato della stupenda protagonista del film e il rosso delle bandiere rosse della rivoluzione. La storia ci dirà se questi avvocati avranno avuto ragione. E se, soprattutto, certe annotazioni sono compatibili con l'analisi estetico-formale di una pellicola come The Dreamers, peraltro realizzata con la ben nota capacità registica di Bertolucci, un talento che in questo senso non si discute.

Non credo che sia necessario ri-raccontare la semplice e lineare trama del film. Sappiamo che i tre avvenenti ragazzi protagonisti, tutti amanti di cinema e travolti dalla scoperta di passionali e appassionate pulsioni dell'amore sessuale, condurranno per qualche tempo le loro avventure nel chiuso di un appartamento. L'appartamento diventa un'astronave che viaggia nel grande cinema in bianco e nero che, ieri come oggi, costituisce il paradiso laico della fantasia e dell'eros, e che occupa ancora (come quaranta anni fa, in zona '60-'68). Un'astronave comoda e scomoda, ugualmente. Comoda per i confort delle suppellettili, e dell'ambiente medioaltoborghese; scomoda non tanto per la presenza-assenza di genitori che nel film si fanno espellere senza discutere e versano l'obolo per l'affitto dovuto, quanto per le angustie che dentro l'elegante appartamento, una esplosiva camera di compressione, scoprono, frustrano, esaltano, complicano i desideri.


Romanzieri, poeti (Samuel Beckett) e registi (Roman Polanski) ce lo hanno insegnato, trovandosi d'accordo con gli psicologi del comportamento: in quelle isole che sono le case della modernità sopravvissute negli antichi centri storici, ci si ama e ci si odia, e ad un certo momento il desiderio d'amore può essere talmente insopportabile da suggerire la voglia di farla finita una volta e per sempre. Magari con il gas, come nel film di Bertolucci. In The Dreamers, spiati attraverso l'eleganza e la plasticità delle immagini, i tre giovani protagonisti sembrano divertirsi poco nello spazio in cui si sono infilati, in un sogno ad occhi aperti, un sogno oppiaceo, magico, intessuto di sequenze in bianco e nero ad alto contenuto di sublimazione estetica. Forse non si divertono affatto, anche se sono belli, bellissimi; e i loro corpi ruotano nella giostra di un'eccitante ronde, un giro d'eros profondamente crudele nell'alternare promesse e negazioni eludendo di continuo il gioco del possesso reciproco capace di andare fino in fondo. La ronde ad un certo punto, avanzando il film con la sua storia carica di allettamenti, diventa la caverna della paura, del dubbio, delle ansie mai abbastanza sopite. È, questa, la parte più riuscita e convincente del film. Lo stile avvolgente del regista ci dice che non di voyeurismo si tratta ma di un appassionato tentativo di identificazione, un po' malinconico, doloroso.


Eva Green e Michael Pitt
                    Eva Green e Michael Pitt (The Dreamers)


Le immagini di The Dreamers sono chiare. In un regista come Bertolucci, un uomo che ha superato la soglia dei sessant'anni, il senso vero del racconto lo si ritrova nella fluidità con cui cerca di far girare i corpi degli attori sul perno dei suoi desideri d'autore e di una personale impotenza. Che è l'impotenza di tutti gli artisti allorché decidono di uscire da se stessi, dalla loro esperienza e soprattutto dall'età per spingersi in un sofferto itinerario di ricostruzione dei momenti più intimi dell'amore. Ma è anche qualcosa di più, visto che Bertolucci ci sta parlando, sulla base peraltro di un romanzo non memorabile di Gilbert Adair, di un periodo ormai diventato storico, più o meno lo stesso visitato proprio in questi mesi da altre due significative opere di registi italiani : La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana e Buongiorno notte di Marco Bellocchio.

I tre film, diversi nello stile e nelle intenzioni, con committenti e destinazioni non collimanti (quello di Giordana era nato per la tv), costituiscono una virtuale trilogia in cui raccontare poco più di quarant'anni di vita e di storia. Giordana tenta di ricomporre, e ci riesce, un affresco complessivo allungato nel tempo, partendo dai volenterosi ragazzi impegnati nel tentare di recuperare i danni dell'alluvione di Firenze per raccontare le scelte estreme che lacerano coppie e famiglie. Bellocchio esplora, con momenti di forte intensità, il rapporto fra il potente sequestrato Moro e le Brigate Rosse, i potenti sequestrati da una ideologia violenta, entrambi uniti e divisi dal gesto del segno della croce. Bertolucci, coerentemente con se stesso e con i suoi maestri Moravia e Pasolini, dà l'ultimo tocco alla via crucis che comincia con Firenze e la contestazione proseguendo poi con il terrorismo, cercando di rivitalizzare il vecchio, caro freudomarxismo degli anni che furono, finito da qualche stagione in soffitta.


Pur nelle diversità, questi tre film hanno in comune non soltanto un viaggio in un'epoca, quella intorno e dopo il '68, che costituisce un importante spartiacque di giudizi e di posizioni. Essi ci propongono storie collettive e personali con al centro un protagonista nuovo: i "teenagers", i ragazzi che sotto e poco sopra i vent'anni diventano negli anni Sessanta, per poi continuare ad esserlo, i contestatori di quel che c'era o c'è; e contemporaneamente diventano i portatori, gli involontari profeti, gli utopisti, i neo futuristi del domani in arrivo, misterioso e inquietante. I "teenagers" assumono un ruolo nella società che non hanno mai avuto. Sono anche i consumatori privilegiati, sia perché hanno imparato a reclamare e a imporre i consumi, trascinando gli adulti e le famiglie, sia perché l'industria li ha eletti sperimentatori di gusti, modelli, trasformazioni. Gran parte del cinema, della musica, degli eventi sportivi sono dedicati e prodotti per questi ragazzi, i quali hanno conquistato ampie zone nei palinsesti televisivi, ultimamente specie quelli satellitari.


Louis Garrel
                           Louis Garrel (The Dreamers)

Che cosa erano e soprattutto cosa sono - poiché il cinema coniuga tutto al presente -, i ragazzi di Giordana e quelli di Bellocchio o di Bertolucci se non dei "teenagers" italiani ed europei? "Teenagers" che si sono trovati a vivere e ad agire nel mezzo di vicende di grande sostanza storica. Li abbiamo visti e sentiti protestare, scendere in piazza, lanciare molotov, crescere e poi alcuni di loro hanno scelto di indossare il passamontagna e impugnare le armi. Personaggi e interpreti di un dramma denso di fatti in larga parte imprevisti e imprevedibili, un dramma dalle molte facce. Ad esempio, Pier Paolo Pasolini, nei suoi scritti corsari, depreca la conversione indotta dei ragazzi di vita in consumatori ma non ha fatto in tempo ad assistere all'entrata in scena fragorosa del terrorismo, ovvero della corruzione delle istanze rivoluzionarie.

Tenendo conto di ciò che è avvenuto e delle coincidenze di tempi, ci si può persino domandare se c’è un nesso fra l'omologazione temuta dall'autore di Accattone e il terrorismo.
Certamente, qualcosa di incestuoso si è stabilito fra il dilagare del consumismo e il terrorismo di destra e di sinistra, forme di reazione giovanile che in Occidente - lo si è scoperto ormai - hanno cercato di rilanciare tutte le malattie infantili dell'estremismo, risvegliando vecchie parole d'ordine circolate negli anni della emulazione di idee eversive, e del confronto fra i totalitarismi e le frange delle rispettive avanguardie. Il terrorismo di destra e terrorismo di sinistra, mescolati, insieme, per celebrare il funerale della rivoluzione nel momento stesso in cui la invocavano. Mentre la musica pop e il cinema di spettacolo, come pure altre proposte culturali e d'intrattenimento o di modo o mode, creavano la categoria dei "teenagers" e ne facevano il simbolo dei neofuturisti del consumo, specchio delle brame degli ex "teenagers" che non si rassegnano ai passaggi d'età.

Con The Dreamers, Bertolucci ha scelto di dimenticare tutto questo o di sublimarlo facendo di cinema-sesso-piazza, un paradigma "anche" per i nuovi "teenagers", come un lascito delle generazioni che hanno vissuto il '68 e in esso continuano a rimirarsi, azzerando il tempo. Del paradigma, il regista privilegia il cinema classico e il sesso, anzi l'iniziazione sessuale nel momento in cui si sta diffondendo il sesso protetto dalla pillola anticoncezionale, una vera e propria rivoluzione nei costumi e nella mentalità degli anni Sessanta. Ma se per il cinema classico, l'omaggio è ironico e affettuoso, per il sesso l'attenzione si fa meno ironica e meno affettuosa.


Maya Sansa
                           Maya Sansa (Buongiorno notte)

I ragazzi sono sotto la lente di ingrandimento che è poi l'obiettivo della macchina da presa che fruga dentro e fuori, cercando di scavare nei corpi e nei desideri. Affiora così una vecchia domanda. Un artista, un grande artista, dove attinge per aggiornare la sua memoria su ciò che intende rappresentare? Come si avvicina alle sensibilità che indaga come un curioso intruso, un investigatore privatissimo e questi rapporti? L'artista è una sorta di raffinato minatore che va a tentoni nel buio dei ricordi e di esperienze rubate, anche se ha alle spalle come in questo caso un romanzo a cui ispirarsi? O è un semplicemente un manipolatore in un laboratorio in cui i giovani diventano semplicemente cavie? La gamma delle risposte è infinita, tra quelle che risalgono a Freud fino a quelle dei manuali tipo Master & Johnson.

Un artista porta, o dovrebbe portare, uno sguardo nuovo in un ambito di versioni e letture della vita dei "teenagers" che hanno creato una sorta di stratificazione. Il cinema ne ha raccolti molti di questi successivi strati che si sono depositati su questa vita dei ragazzi, e ha contribuito talvolta a crearli. Senza tornare troppo indietro, basta ricordare il famoso film di François Truffaut, I 400 colpi. Per poi giungere a pellicole più vicine a noi, pellicole fotocopia che hanno generato la serie American Pie, in cui il mondo degli adolescenti è ritratto nella deformata esasperazione di giochi verbali e sessuali, nell'affannosa pioggia di battute e jokes, in una compiaciuta proposta di caricature: il limbo della pubblicità e dei consumi destinati appunto agli adolescenti con soldi in tasca.

Sempre vicino a noi, è Elephant di Gus Van Sant, un bel film. Qui, i delitti di Colombine - ovvero il massacro avvenuto in una scuola americana già proposto da Michael Moore in Bowling a Columbine -, escono dalla ricostruzione di una cronaca e si trasformano in un album dell'orrore che aspetta nella quotidianità noiosa e televisiva di molti ragazzi d'oggi. In questa sintesi, dedicata a un cinema che ha avuto una sua rilevante storia e va incontro a un grande futuro, ci sono i segnali, le prove che il cinema per e sui "teenagers" è un genere continuamente alimentato, molto variegato; e non potrebbe non esserlo. Il regista di The Dreamers passa attraverso il genere e ce ne fornisce una sua visione particolare. Una visione che esce dalla sociologia ed entra nel laboratorio creativo dove s'incontrano brandelli di memoria, racconti rubati come i baci di un altro famoso film di Truffaut (che compare fra "dreamers" come citazione colta e sentimentale), coriandoli di esperienze divulgate a cura dei mass media, impressioni, sonde lanciate per capire e per sorprendere. Sarebbe stato interessante se questo laboratorio creativo fosse andato coerentemente avanti, invece di cambiare bruscamente strada, tradire ogni premessa e ogni forma di seduzione visiva e non solo visiva messa in atto.


Luigi Lo Cascio
                        Luigi Lo Cascio (La meglio gioventù)


Rivediamo l’ultima parte del film. La scena chiave, la svolta decisiva, è costituita dal tentativo di suicidio che uno dei tre - la ragazza - sta mettendo in atto, con la cannella del gas che li ucciderà nella stanza da letto dove sono stati celebrati i riti laici della comunione sessuale. Il gas comincia a farsi sentire. Ma ecco che un sasso rompe i vetri della finestra ed entra a portare il gas dei lacrimogeni della polizia. Avviene il miracolo. Anzi, un doppio miracolo. Da un lato, la fine del tentativo del suicidio e la conversione alla piazza del '68, crogiuolo e simbolo di tutte le piazze dove ribolle la rivolta se non la rivoluzione. Dall'altro, il recupero della politica, un recupero frettoloso, allusivo, forzato. Ma il finale dei miracoli sarebbe stato evitato se il regista, che ha l'autorità per farlo, avesse chiesto allo scrittore-sceneggiatore di bloccare il mattone e di trovare un'altra soluzione per una o più scene in cui mettere in rilievo l'urto ideale del '68 sul mondo piccolo chiuso nell'appartamento dei "teenagers".

Le coincidenze suggerite, anzi imposte nel racconto, e quindi esemplari, hanno l'effetto più dirompente di una mattonata: quello di svelare le intenzioni didattiche-didascaliche di un'opera, e di togliere a questa la forza e la capacità di rendersi credibile. Succede in questo modo che il racconto sciorinato da Bertolucci prima del doppio miracolo, venga negato e liquidato nella baraonda degli scontri; e che, dopo, quando le immagini passano alla piazza e quindi a una ribalta politica (ma non alla politica che è un'altra cosa), prenda sopravvento la morale edificante, la lezione acritica, la premura didattica-didascalica. I sogni dei "dreamers", precari, attraenti, inquietanti, si dissolvono nella piazza e la piazza diventa il luogo indicato, magico, dove i "teenagers" di ogni generazione possono, per così dire, rigenerarsi. Se fosse vero, se cioè i ragazzi potessero trovare davvero nella piazza e nei movimenti la ragione politica per manifestare, battersi, esistere, in Italia non saremmo al punto in cui siamo.
Le bandiere e i pugni alzati sono gesti, non una politica (una volta, c'erano le mani sporche, quelle del testo teatrale di Jean Paul Sartre: ossia, la politica si fa sporcandosi le mani, si diceva; non è per le anime belle. Adesso , dopo i pugni in tasca di Bellocchio e i pugni alzati di Bertolucci in arrivo nel mondanissimo Hotel Excelsior per la folcloristica Mostra di Venezia, i pugni dove stanno e soprattutto e che cosa significano?). A proposito di gesti. Ricordo un corteo, di cui facevo parte, che si radunò sotto le Botteghe Oscure per festeggiare una delle vittorie elettorali del partito comunista, prima del '78, l'anno del sequestro e della uccisione di Moro. Sul balcone si affacciò Enrico Berlinguer. La folla cominciò a gridare chiedendo al leader di fare il pugno in segno di saluto e soprattutto di vittoria. Insistentemente. Berlinguer rispose con un gesto di diniego e aprì le mani per un saluto. I simboli, di cui c'è sempre bisogno, sono tali se rimandano a qualcosa di reale e di profondo: il mattone del doppio miracolo nel e per i "dreamers" di ieri e di oggi non li può sostituire.


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The Dreamers



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Buongiorno notte



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La meglio gioventù

 
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