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Anonymous

di Elisa Uffreduzzi
  Anonymous
Data di pubblicazione su web 22/11/2011  

Ennesimo film di argomento shakespeariano, Anonymous di Roland Emmerich, si muove su un terreno già ampiamente battuto, riuscendo tuttavia nel difficile intento di dire qualcosa di nuovo. Quando si affronta l’inflazionato soggetto drammaturgico, le vie percorribili sono essenzialmente due: la riscrittura di un dramma del celebre autore inglese o la sua biografia. Quest’ultimo, che è poi quello scelto dal regista, è il versante meno sfruttato. Mentre si perde il conto delle trasposizioni di drammi shakespeariani, variamente declinati in versioni attualizzanti e non (un esempio per tutti il recente Coriolanus di Ralph Fiennes, 2010), sono in netta minoranza le pellicole dedicate alla vicenda biografica dello scrittore. Si pensi sostanzialmente a Il convento (Manoel de Oliveira, 1995) – che trattava però il tema in modo soltanto marginale – e a Shakespeare in Love (John Madden, 1998).

Il confronto con quest’ultimo film è d’obbligo. Se Madden trasformava il drammaturgo anglosassone in uno scrittore in crisi, protagonista di una commedia romantica decisamente hollywoodiana, Emmerich realizza un film ricco di suspense che rifugge però l’azione scattante del thriller poliziesco americano. Una felice sorpresa da un regista di blockbuster. Avvezzo al disaster movie, Emmerich riesce a mettere la sua perizia tecnica al servizio di un dramma storico fantasioso ma accurato. Come nel film di Madden, in cui era interpretato da Joseph Fiennes, anche qui William Shakespeare è lontano dalla figura del letterato tradizionale, assumendo invece le sembianze di uno scanzonato e squattrinato teatrante. Senonché Emmerich porta alle estreme conseguenze l’intuizione di Madden (per il quale rimaneva pur sempre un drammaturgo), facendone un impostore. Shakespeare sarebbe stato un mediocre attore e un prestanome – per giunta analfabeta – che per soldi avrebbe accettato di firmare i drammi in realtà redatti da Edward De Vere, duca di Oxford. L’idea richiama alla mente le innumerevoli e leggendarie ipotesi che nei secoli hanno fantasticato sulla figura di Omero: la sagoma del mitico aedo viene così a sovrapporsi a quella del bardo inglese.




A questo filo della narrazione se ne intrecciano altri: complicano la trama gli amori più o meno segreti della regina Elisabetta I e i relativi figli che ne sarebbero derivati; le vicende dinastiche del trono d’Inghilterra; la fortuna teatrale di Ben Jonson e i vari intrighi di corte. Il plot rivela in trasparenza la felice stagione del teatro elisabettiano, ma anche l’ombra lunga della chiusura dei teatri inglesi ancora di là da venire. Emmerich, celebre soprattutto per i suoi film catastrofici e fantastici, in realtà già con Il patriota (2000) aveva dato prova di saper convogliare la magniloquenza delle scene di massa e delle grandi vedute grandangolari (digitalmente rielaborate) nel solco della messinscena storiografica.

La splendida fotografia di Anna Foerster dà agli interni un calore intimo e quotidiano che umanizza vicende altrimenti lontane nel tempo. Il riferimento sotteso al pittoricismo del film sembra essere, più che quello della piatta bidimensionalità e delle fredde campiture della pittura rinascimentale nordica che ci ha tramandato i più noti ritratti di Elisabetta I, quello ben più caldo e intimista delle posteriori opere di Velasquez. I panorami di una Londra sconfinata e fuligginosa, pur stonando un po’ in termini fotografici rispetto alla cifra minuta e “in sordina” del resto del film, lo arricchiscono dandogli quel respiro che distingue il film di Emmerich dal resto della filmografia shakespeariana.

Nelle maestose e roboanti inquadrature aeree sulle truppe schierate sul campo di battaglia, come nelle vedute che confondono la Londra cinque-secentesca con la Venezia dipinta dal Canaletto, il chiassoso stile di Emmerich inscena la sobria eleganza inglese, della quale mette al servizio la propria originale maestria calligrafica. Si direbbe che il metro shakespeariano abbia conferito il giusto calibro alla sua magniloquente regia.




Il film si apre con una gradevole trovata metateatrale: una carrellata dall’alto su una grande strada cittadina, poi un brusco stacco di montaggio ci porta a fianco dell’entrata di un teatro, quindi dietro le quinte. Si apre il sipario e un esperto di Shakespeare propone al pubblico la sua personale teoria sullo scrittore: a metà tra il convegno per specialisti del settore e il dramma allestito, lo spettacolo inizia; poi un attore entra in scena correndo e quella corsa ci porta alle strade fangose della Londra dei primi del Seicento e ai resti del Globe appena bruciato. Inizia così il lungo flashback che dipana lo svolgimento del film, finché nel finale torniamo tra il pubblico di quello stesso palcoscenico sul quale la storia si era aperta.

La struttura circolare del racconto completa le riprese in teatro laddove si erano interrotte: in apertura della narrazione avevamo visto dapprima aprirsi il sipario inquadrato da dietro le quinte e solo in un secondo momento lo studioso osservato dal punto di vista del pubblico in teatro; nel finale lo vediamo invece direttamente di fronte, sul palco. Il sipario si chiude davanti alla macchina da presa che indugia in mezzo agli spettatori in procinto di lasciare la sala. La scelta di incorniciare la vicenda all’interno di un convegno di studi rafforza la credenza circa la fantasiosa teoria esposta dal film.

Disomogenea la scelta del cast: le movenze da giocatore di baseball di Rafe Spall non sembrano verosimili per il “Grande Bardo”, mentre appare superba Vanessa Redgrave nei panni di un’Elisabetta I umanizzata senza perdere in regalità. Altrettanto pregevole l’interpretazione di Rhys Ifans del conte di Oxford (Edward de Vere in età matura); mentre Jamie Campbell Bower come “giovane” Edward de Vere risulta poco credibile: quando il suo orgoglio di amante ferito dovrebbe gettarlo nella disperazione, la furia affidata alla sua adolescenziale baby face sfiora il ridicolo. Tra i comprimari spicca Edward Hogg nel ruolo del Consigliere di corte Robert Cecil, spregevole e mellifluo quanto basta. Nel complesso Anonymous resta una buona nuova prova, che si aggiunge alla nutrita schiera di film shakespeariani.




Anonymous
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