Lo strepitoso successo di Omaggio
a Fokin, lo spettacolo presentato al Teatro Regio di Torino dal Balletto
del Teatro Marinskij di San Pietroburgo e dallOrchestra e Coro del Regio
diretti da Mikhail Agrest, impone
prima di tutto delle considerazioni sulla perdurante attualità dei “classici” che, imperterriti, continuano a
destare lattenzione su di sé per la loro modernità. Ovvero quella capacità di
essere sempre à la page in virtù dellalterità
– e dunque diversità – che li contraddistingue e mantiene inalterato il loro
valore esemplare. Alterità che va a braccetto con quellaltrettanta capacità che
hanno i “classici” di provocare – per dirla ‘alla Calvino – “un incessante
pulviscolo di discorsi critici su di sé” ma di scrollarseli continuamente di
dosso con elegante nonchalance.
Il Balletto del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo in Le Spectre de la rose. Sulla sinistra Svetlana Ivanova
Detto questo è superfluo ribadire il perché del meritato trionfo di Omaggio a Fokin, unimperdibile
occasione di rivedere quattro capolavori di Michail Fokin, artista e coreografo “necessario” allineguagliabile
esperienza dei Balletti Russi di Diaghilev
(1909-1929) e “necessitato” ad intraprendere la riforma del balletto
ottocentesco. Quella riforma condensata dallo stesso Fokin in cinque punti, esposti
in una famosa lettera inviata al «Times» nel 1914, in base alla quale il
balletto è considerato unopera unitaria nella quale danza, musica, scenografia,
devono contribuire in egual misura alla realizzazione del dramma scenico e il coreografo
da semplice “ordinatore di danze” si trasforma in una figura assimilabile al
regista. Principi che furono condivisi da Fokin con limpresario Diaghilev e che risentirono del realismo professato da Stanislavskij e dal Teatro dArte di
Mosca.
Nel ‘palinsesto ragionato dellOmaggio
a Fokin ‘torinese, che annovera Danze Polovesiane, Le Spectre de la rose,
La morte del cigno e Shéhérazade,
è possibile cogliere i capisaldi della riforma fokiniana, non disgiunti dalla
percezione della geniale modernità e dallinnovativa diversità di un
“classico”.
Il Balletto del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo in Danze Polovesiane. Al centro Alisa Sokolova
Danze Polovesiane è un balletto in un atto, tratto dal secondo
atto de Il principe Igor di Aleksandr Borodin, che segnò il trionfale
debutto dei Balletti Russi al Théâtre du Chatelet di Parigi il 19 maggio 1909. Contrassegnata
dallesotismo barbarico, questa creazione trasuda virilità ed energia
coreografando un momento della prigionia del principe russo Igor e del figlio
Vladimir presso Khan Končak, il capo tribù dei Polovesiani, ai tempi dellinvasione
russa nel XII secolo. Al centro dellaccampamento le fanciulle danzano
languidamente intorno al fuoco quando limprovviso arrivo dei guerrieri e del
loro comandante trasforma il ritmo delle danze che diventano maschie, guerriere,
selvagge. Fabula motoria e corale,
questo balletto colpisce per la sontuosità delle scene, gli sgargianti costumi
di Nikolaj Roerich e linterpretazione
del Balletto del Marinskij. Un manipolo di danzatori e danzatrici con in testa Islom Baimuradov, Alisa Sokolova e Elena
Baženova, che travolgono il pubblico con le loro danze geometriche, intrise
di grazia femminile e irruenza maschile, e le movenze realistiche ispirate alla
‘lezione di Fokin che voleva un corpo espressivo “dalla testa ai piedi”.
Il Balletto del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo in Le Spectre de la rose. Nella foto Igor Kolb e Svetlana Ivanova
Un esaltante inno di guerra a cui fa da contraltare il raffinato
lirismo del romantico Le Spectre de la
rose. Un “quadro coreografico” ispirato a una poesia di Théophile Gautier, rielaborata da Jean-Louis Vaudoyer, su LInvitation à la valse di Weber,
e riproposto con le scene i costumi di
Léon Bakst e le luci di Vladimir Lukasevič. Presentato per la prima volta al
Théâtre du Monte-Carlo il 19 aprile 1911 con Vaslav Nijinskij e Tamara Karsavina,
questo balletto è una sorta di “divina oleografia” con al centro la ręverie amorosa di una fanciulla che, di ritorno da una festa con una
rosa in mano, sogna di vedere materializzarsi il suo ideale maschile nello
Spettro della rosa che entra in volo dalla finestra con un prodigioso grand jeté. Da lì con virtuosismi mozzafiato danza davanti alla ragazza,
abbandonata su di una poltrona, e poi la invita a volteggiare assieme a lui, fino
a che scompare dalla finestra con un ennesimo grand jeté. Lei, risvegliatasi, accarezza il delicato fiore,
simbolo del suo sogno damore. Svetlana
Ivanova è una fanciulla trepidante, languida, che risponde al richiamo
dello Spettro della rosa, un portentoso Igor
Kolb che resta impresso per la bellezza statuaria, limpeccabile esecuzione
dei passi della danse décole e
linterpretazione ‘alla Fokin che non vuole meri esecutori ma veri interpreti che
sono quel che fanno.
Alina Somova nella Morte del cigno
E proprio in ossequio a questo
principio di verità assoluta è laltro masterpiece
di Fokin, La morte del cigno,
lassolo creato sul Cigno de Le Carnaval des animaux di Saint-Saëns per Anna Pavlova nel 1907 e riproposto al Regio di Torino dalla
meravigliosa Uljana Lopatkina. In soli quattro minuti Uljana dà una rappresentazione magistrale di
questa famosa morte per lintensità drammatica con cui mostra i fremiti e gli
spasmi che preludono alla fine del candido uccello. E se alle lunghe gambe
dellartista poco concede la coreografia, tutto il ‘dettato si concentra sulla
parte superiore coinvolgendo braccia, testa, collo, che vengono scossi da
intensi singulti fino a quando il cigno-Lopatkina
esala lultimo respiro in un inscindibile connubio ‘alla Fokin tra mimesis e pathos.
Altro balletto ‘riformato è
Shéhérazade, presentato in chiusura
di serata con scene costumi di Anna
Nežnaja e Anatolij Nežnyj dagli
originali di Bakst e luci di Lukasevič. Ideato da Fokin su musica di Rimskij-Korsakov
e messo in scena per la prima volta al Théâtre National de lOpéra di Parigi
nel 1910 da Ida Rubinstein e Vaslav Nijinskij, Shéhérazade è una novella tratta da Le Mille e una notte che racconta la passione della bellissima Zobeide,
la Favorita del Sultano Shaharyar, per lo Schiavo doro, il tradimento della
donna, la morte della Schiavo, ucciso dal Sultano per gelosia, e il coraggioso
suicidio di lei davanti a Shaharyar che non riuscirà ad impedire linsano
gesto.
Daniil Korsuncev e Uljana Lopatkina in Shéhérazade
Allinsegna del realismo ‘fokiniano il balletto scorre veloce
nellharem di Shaharyar sontuosamente addobbato e animato dalle danze delle odalische
e degli schiavi negri, inebriati dai piaceri di una festa trasgressiva che termina
con limprovviso arrivo di Shaharyar e dei suoi fedelissimi intenzionati ad
uccidere tutti. E se lo spettatore è coinvolto da quanto accade sulla scena, ancora
di più resta affascinato dai protagonisti, Zobeide e lo Schiavo doro. La
sensualissima Viktorija Terëškina e
il fascinoso Vladimir Škljarov
‘fokinianamente calati nella parte e preda del furor amoris che li travolge e traspare dallerotismo dei passi e
dei gesti di lei quando irretisce luomo con i conturbanti movimenti del corpo,
delle braccia e delle gambe, mostrate in tutta la loro iperestensione. Un
eloquente ‘linguaggio a cui rispondono i poderosi salti di lui e la mascolinità
nellafferrare con violenza e voluttà il corpo e lanima di Zobeide. Vera
eroina dellimmarcescibile capolavoro di Fokin e della sua provvidenziale
riforma.
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