Una lunga consuetudine con lopera di Altan -
iniziata nel 2000 con Cuori pazzi e
seguita nel 2006 da Cipputi. Cronache del
Bel Paese – reca il frutto ulteriore di questultimo spettacolo diretto da Giorgio Gallione al Teatro
dellArchivolto, in co-produzione col Teatro Stabile di Genova. La Compagnia, che
si avvale di attori di provenienze diverse, riesce a formare un gruppo ben
affiatato, sensibile alle esigenze di collaborazione paritetica care al regista.
In rinnovato approccio a testi non evidentemente teatrali, Gallione impone
unazione brillante, condotta da un ritmo elevato, impresso a una materia
verbale e mimica molto frammentaria ed eterogenea. Sintetizzare e svolgere in
racconto drammaticamente plausibile tante e tali battute e immagini folgoranti
del famoso disegnatore satirico, è ardua sfida per la messa in scena. «Gli
aforismi di Altan si rivelano più efficaci perfino di un editoriale
giornalistico», sostiene il regista, che spiega: «È stato come montare una
serie di francobolli che alla fine compongono lanamnesi di un Paese non
proprio in forma dal punto di vista etico e morale». Nelle prove precedenti,
Gallione aveva utilizzato i numeri di un cabaret
fantasioso e impertinente, coadiuvato da musica e canzoni. Qui ottiene una
forse maggiore continuità e coerenza proprio dalle canzoni, affidate alla voce
solista dalle fonde e ironiche sfumature timbriche di Rosanna Naddeo; spesso concluse in coro: come nellInno nazionale di Mameli (distorto), in
apertura e lInternazionale (similmente
stonato), in chiusura. Poiché il movimento è in generale coreografico, quasi
dando luogo a un balletto, la musica di Paolo
Silvestri fornisce, più che semplice raccordo fra le scene, sostegno in
contrappunto o accompagnamento allazione: i motivi sono un allegro in due tempi, frasi di
pianoforte subdolamente romantiche e un ritmo di tango, capaci di volgere al
grottesco i registri più cattivanti e clamorosi della farsa.
(Foto di Bepi Caroli)
Personaggi e vicende si affollano
repentinamente, vivono pochi istanti e svaniscono, per riproporsi in ennesime
varianti. È la reazione a scoppio ritardato a produrre il contatto più efficace
con lintelligenza dello spettatore. Il risultato è trascinante quando Gallione
gioca con un concertato di duetti che coinvolgono man mano il collettivo.
Lavvio dogni situazione, tema o episodio, è affidato alle due figure più distaccate
dei Cronisti (o Narratori) in completo nero: Massimo Mesciulam, che poi diventa Silvio-il-giovane e il
Parlamentare e Rosanna Naddeo, che oltre a scandire comunicati immancabilmente allarmanti,
li volge in canto con potente partecipazione; per poi assumere qualche
personaggio riconoscibile, come una delle vedove degli operai vittime del
lavoro. Lo spazio scenico rettangolare è piuttosto neutro e gli oggetti che lo
arredano indicano, oltre al «tinello» destinato ad aprirsi simbolicamente sulla
«piazza», anche la camera da letto e la cucina. Le tre pareti sono tappezzate uniformemente
da pagine di giornale. La luce definisce via via il luogo di unazione che dal
nucleo di coppia si allarga a partecipazione corale. Nella drammaturgia di
Gallione, le scenette sono ritagliate e rifuse in una tessitura variegata, ma unitaria
e fedele alloriginale; fra allusioni pungenti e dialoghi dal linguaggio
volgarmente scatologico. La cifra linguistica tipica dellartista e polemista, acquista
una levità surreale, con conseguenze più profonde dellilarità suscitata al primo
impatto dellimmagine. Lo spettacolo è decisamente «politico», sia nelle
sequenze direttamente critiche verso i responsabili del governo, sia
nellevidenziare situazioni diffuse di disagio o degradazione socio-culturale.
Eppure lamarezza e il pessimismo intrinseci alle creature di Altan sono
equilibrati (come elevati, se non certo sublimati) attraverso il gioco delliperbole
e dellironia, del contrasto che labulia o la disperazione dei personaggi
suscita rispetto alla vivacità delle battute e degli scatti mimici contrapposti
alla realtà rappresentata. Tantè che quando lesperienza personale diventa
collettiva, la funzione del Coro è di riflettere acremente sul grado di
sostenibilità del tragico, sul limite del suo sprofondamento nel comico. La
sarabanda di aforismi e freddure su stati danimo e comportamenti comuni e
quotidiani, svolge e condensa un resoconto a bilancio di unepoca recente della
nostra storia, una riflessione globale sui cambiamenti iniziati a partire dagli
anni Sessanta e che ora si aprono su un futuro sempre più drammaticamente vuoto.
Qui le forme si scatenano in inversioni paradossali di luoghi comuni o di frasi
«storiche», sicché la coscienza e lorgoglio della partecipazione a eventi
epocali preferiscono poter dire «io non cero».
(Foto di Bepi Caroli)
I momenti più aggressivi della satira sono
nella parabola ascendente di Silvio-il-giovane, rievocata da un Massimo Mesciulam
nei toni particolarmente severi e distaccati da documentario; e nel
Parlamentare assediato dal popolo questuante, interpretata con insofferenza e
disprezzo. Sono anche quelli che illustrano la delusione seguita al tramonto
delle ideologie, specialmente quella marxista e la trasformazione con occultamento
della classe operaia. Questa si rappresenta nella coppia già celebrata di Cipputi
e Bundazzi (Scaramuzzino e Pirovano, in tuta e armati di falce e
martello) offesi e stupefatti, travolti dalla Storia. Una variante al loro
destino infausto li mostra vittime dellamianto delle lavorazioni navali,
secondo la dolorose testimonianze delle vedove (Simona Guarino e Rosanna Naddeo) in brevi monologhi dalla
disarmante commozione. Innumerevoli aneddoti, esilaranti e raggelanti,
coinvolgono ancora i rapporti della coppia-tipo di Gino e Gina (Scaramuzzino e
una Simona Guarino dallostentata sciatteria e protervia, a costituire
esemplari «maschere» contemporanee), alle prese con tragicomiche disavventure
sessuali ed educative (con figli simpaticamente maliziosi o sbandati,
interpretati da Vito Saccinto, Melania Genna e Sarah Pesca), segnate da cupe allusioni a equivoci e violenze
familiari.
Qualche inciampo comunicativo può forse
rilevarsi nel cambiare e sovrapporsi di temi e prospettive sì disparati, per
cui gli attori non possono mai calarsi in un carattere definito. Così anche è
difficile adeguare le diverse maturità espressive ai ruoli cangianti e diseguali.
I più giovani comunque interagiscono tempestivamente con i protagonisti
maggiori, dimostrando un entusiasmo non inferiore alla precisione della
performance recitativa. «Cè molto da ridere - dichiara Gallione - ma poco da
stare allegri». Del resto, il gradimento del pubblico è sottolineato da
frequenti applausi a scena aperta e dallovazione finale indirizzata allautore
chiamato in palcoscenico.
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