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Tomboy

di Elisa Uffreduzzi
  Tomboy
Data di pubblicazione su web 21/10/2011  

Al suo secondo lungometraggio come regista (dopo Naissance des pieuvres, 2007), Céline Sciamma torna ad esplorare il tema dell’identità sessuale. Se nel suo primo film aveva osservato l’argomento attraverso la lente d’ingrandimento dell’adolescenza, stavolta sceglie quella dell’infanzia. Sciamma, giovane talento del cinema d’oltralpe, dimostra di sapersi addentrare in un territorio impervio con passo lieve e freschezza di toni.

Sullo scorcio dell’estate parigina, la piccola Laure (Zoé Héran), dieci anni, va alla scoperta del nuovo quartiere, in cui si è appena trasferita con i genitori e la sorellina Jeanne (Malonn Lévana). Nuovi amici, una nuova scuola e perché no, anche una nuova identità. A offrirle l’occasione è Lisa (Jeanne Disson), una delle sue nuove amicizie, che – complice l’abbigliamento e i modi mascolini di Laure – la scambia per un maschio, cosicché, un po’ per gioco, un po’ no, diventa Mikaël. Gioca a calcio, fa a botte, si trova “la fidanzatina” e in barba alla chirurgia plastica sopperisce alle mancanze con un po’ di pongo verde messo al posto giusto.




Con uno stile di ripresa e una fotografia (Crystel Fournier) che ricordano molto le modalità del “cinema privato”, la regista firma una tranche de vie che convince perché trascrive sullo schermo i sentimenti e le ragioni di tutti, attraverso inquadrature cariche di verità. Come in un filmato di famiglia infatti, è il gesto quotidiano al di là dell’evento ripreso a costituirne il fascino peculiare. Trovano così la loro ragion d’essere inquadrature come quella d’apertura, in cui Laure ci viene presentata attraverso il primo piano della nuca o quella, molto suggestiva, in cui sta in braccio al padre che la coccola dondolandola a destra e a sinistra: i volti si alternano ritmicamente nel primo piano, creando così un gioco visivo affascinante, all’interno di una semplice inquadratura fissa.

Il desiderio istintivo di Laure di essere Mikaël provoca reazioni diverse, se non opposte: la rabbia della madre (impotente di fronte a quella realtà che conosceva già, ma fatica ad ammettere nel momento in cui si manifesta in tutta la sua evidenza); la fedeltà incondizionata di Jeanne (che mantiene il segreto della sorella, divenendone così complice, ma anche la prima ad accettarne con semplicità la diversa natura); la paziente comprensione del padre e il muto allontanamento dell’amica Lisa, che si sente tradita e disgustata.

Sarà proprio quest’ultima, riconciliandosi con l’amica, ad aprire uno spiraglio sul futuro di Laure, dimostrando come nel mondo assoluto dell’infanzia – in cui crudeltà e solidarietà sono due facce della stessa medaglia – la fiducia somigli un po’ all’eroe di un cartone animato per bambini, che muore e risorge, rassicurante, puntata dopo puntata.

Così la domanda che sospende il finale, «Qual è il tuo vero nome?», sembra voler suggerire che laddove finisce l’amicizia con Mikaël, semplicemente inizia quella con Laure, senza lutti, né tragedie. Un piccolo grande insegnamento per i genitori di questo tomboy: finora hanno conosciuto Laure, ora possono iniziare a conoscere Mikaël.




Il cast, senza nomi di richiamo internazionale, funziona alla perfezione, a cominciare dalla protagonista, perfettamente a suo agio davanti alla macchina da presa. Spicca tra i comprimari la piccola Malonn Lévana: la sua Jeanne è semplicemente irresistibile. La sceneggiatura è ben calibrata: c’è un tempo per il chiacchiericcio di bambini e un tempo per lasciare che siano le immagini e la misurata mimica dei personaggi a risuonare. Si pensi alla scena in cui Mikaël gioca a calcio con i nuovi amici: l’impercettibile trasformazione non viene esplicitata a parole, ma passa attraverso la gestualità imitativa di Laure, che tira su col naso, corre a torso nudo e sputa per terra, perché sono gli altri ragazzi a farlo.

Scene come quelle, molteplici, di complicità tra le due piccole sorelle che giocano, si confidano, fanno un patto o semplicemente si fanno compagnia, conferiscono alla storia un carattere intimista e riservato, che avvicina lo spettatore alla protagonista, rendendolo partecipe della sua sofferenza e dei suoi desideri.

Céline Sciamma, outsider ed esordiente, fornisce una seconda prova incantevole. Per non rischiare di arenarsi però, forse, è tempo di cambiare argomento, oltre che protagonisti. 



Tomboy
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