Non è una grande novità quella di mettere in scena in teatro lautore insieme alla sua opera. In Italia da circa quarantanni Luca Ronconi non fa che mettere in scena testi e contesti e già trentanni fa Carmelo Bene associava, anche nel titolo, lautore allopera (Faust-Marlowe; Amleto-Laforgue). Ma già allora Carmelo Bene faceva di più, mettendo in scena, oltre a testo e contesto, esibitamente, sé stesso. Proprio alla gigioneria del genio pugliese fa pensare lultima fatica di Al Pacino, questa Wilde Salomé che porta a compimento il lavoro di intermediazione drammaturgica già avviato con Looking for Richard e, moltiplicando i propri ruoli, non fa altro che mettere in scena, appunto il grande interprete.
Una scena del film
Al Pacino ad apertura di film spiega come stia recitando in teatro la Salomé di Wilde. A questa aggiunge il suo progetto per un film da preparare, con attivismo frenetico, nei giorni stessi delle recite serali. E poi aggiunge la propria ricerca sullautore, intrecciandone la vita con, appunto, lopera. Ecco Al Pacino che recita Erode, che discute con i produttori, che pungola gli attori, che si premia con un lungo reperage sui luoghi della vita del drammaturgo, che ci spiega con una certa pedanteria didascalica (e pur con inserti di foto stranote di Wilde) la sua triste vicenda, lidolatria della Londra Vittoriana e poi il matrimonio, e lamore rovinoso con Bosie, aristocratico inconsistente e vile, e poi la discesa agli inferi, i processi, la condanna, la liberazione, la mortificata ricerca in Italia dellantico amore, il rifugio a Parigi, gli scritti politici. E poi, e poi. Tutto questo è fatto bene? E fatto male? Ha un senso? Cosa poteva fare di diverso Al Pacino se non portare allestremo la propria esibizione?
Una scena del film
Quando sei Al Pacino non puoi più nasconderti non ti cali più nel personaggio, che diventa assolutamente secondario. È quindi bene esibirla questa impudicizia, nella quale non ha uguali, meglio stare al suo gioco e lasciarsi, sedurre, ancora una volta, dalla sua guittaggine, dal suo dinamismo ipercinetico, dai suoi anelli barbarico-camorristici, dai suoi capelli malamente tinti, dai suoi occhi febbrili, dal suo, ci si perdoni il logorio della parola, carisma. Meglio prendere questo miracolo di teatro allantica italiana, dove non conta nulla, se non lattore. Non facevano questo i grandi attori della tradizione, fagocitando tutto il resto (testo in primis) nella ancora inspiegata alchimia del palcoscenico? E chi se ne frega di Salomé, chi se ne frega di Oscar Wilde.
|
|