Artista visivo di provatissima influenza e autore cinematografico premiato a Cannes per il primo lungometraggio (sulla vita di Bobby Sands, lattivista nord irlandese morto per fame in prigione nel 1981) Steve Mc Queen ha per il corpo un interesse profondo, vero e materico. Nella sua prima opera, Hunger, il corpo era lo strumento politico di espressione della propria libertà. In questa più recente Shame, (vergogna), dal titolo non meno perentorio del precedente, il corpo è invece, in qualche misura, strumento di dannazione.
Il brillante trentenne Brandon infatti, che vive e lavora a Boston, ha una vita agiata, una casa propria, è bello e potrebbe essere felice. Se solo fosse capace di gestire la sua vita sessuale e avesse, del suo corpo, un pieno controllo. E invece lincapacità di gestire le sue pulsioni le fa diventare sempre più incontrollabili, sempre più degradate, in una progressiva perdita di centralità del suo essere che lo porterà alla rovina. Quel briciolo di equilibrio, almeno formale, che riusciva a mantenere sullesterno salta completamente quando il rifugio del suo autismo, la casa, viene sconvolto dallarrivo della sorella, disperata quanto lui ma esplicita e vitale. Tra scoppi dira e ripulse, pianti e scenate, fino al tentativo di suicidio della ragazza si ricostruisce un legame fortissimo che non è forse solo quello del naufragio.
Se Mc Queen non fosse un artista visivo penseremmo allonda lunga della drammaturgia elisabettiana (al magnifico e disperato incesto di Peccato che sia una sgualdrina). Ma anche senza dare annoblissements letterari la forza delle immagini, la secchezza non compiaciuta delle inquadrature trasmettono egregiamente una disperazione che nulla ha a che fare con il voyeurismo e che nella serialità delle azioni erotiche riesce a dare il senso di una solitudine irredimibile, di una, ad un certo punto deliberata, rinuncia a tentare una salvezza. Di una incapacità di attivare il sentimento che non è più soltanto soggezione alla vuotaggine di una società priva di valori ma una scelta individuale di autodistruzione data dallincapacità di dirigere il proprio destino. Non elisabettiana ma comunque, sempre una tragedia. Fortunatamente nulla di questo è enunciato e la moralità nasce proprio dalla visione dei comportamenti, dallexemplum. Naturalmente quanto qui detto vale per chi ha la pazienza di scavare un po a fondo e di farsi prendere dal cammino seriale dellanima, più che del corpo, dimenticando tutto ciò che probabilmente gli uffici stampa metteranno in opera per tentare di fare di un film morale un film di cassetta.
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