Deve essere una questione di quote linserimento di questo film nella rassegna in concorso: tanto allemisfero australe tanto a quello boreale etc. Altrimenti non si spiega: la mostra di Venezia, pur nellallargamento quantitativo, ha comunque sempre un titolo che la lega allarte. Bene quindi anche prodotti non perfetti ma che abbiano un certo qual interesse formale. O, per lo meno, un punto di vista. Qui mancano entrambi, anche se abbonda lambizione: quella di narrare un episodio, più che mal noto, praticamente sconosciuto della storia coloniale. Per una volta della storia coloniale giapponese allinizio dello scorso secolo, quando, ceduta dai cinesi lisola di Taiwan i colonizzatori operarono un vero e proprio genocidio delle multiformi tribù aborigene.
Tra queste quella dei Seediq, più orgogliosa e combattiva di altre, non si piegò allabolizione (e al divieto) delle proprie pratiche religiose e sociali, e, sotto la guida di un eroico leader, Mouna Roudo, costituì una coalizione con altre tribù in difesa dei propri dei e del diritto a vivere in libertà sul proprio territorio.
Il film, di una lunghezza esasperante, vaga tra bellissime immagini di paesaggi incontaminati, infinite e cruentissime scene di violenza da tutte le parti contendenti e, soprattutto, fa perno su un discutibilissimo “nativo” il capo carismatico, appunto, che si richiama a tradizioni non meno riprovevoli (almeno per il nostro stomachino occidentale) di quelle che il nostro stomachino politicamente corretto rifugge con ripulsa quando sono perpetrate da giapponesi. Ecco un piccolo catalogo (oltre al fatto che usa un linguaggio simile a quello di Gheddafi): la decapitazione è il sistema base di eliminazione di nemici e anche di correligionari, le donne praticano un suicidio rituale impiccandosi, il capo è indiscutibile padrone della vita dei suoi. Un accordo con i giapponesi si può trovare sul seppuku (praticato da entrambe le parti con apparente reciproca soddisfazione). Certo ci sono gli dei, le credenze di una vita oltre larcobaleno ma il tutto così insinceramente rivendicato come radice antropologica da pensare che a Taiwan i tempi non siano ancora maturi per una rivisitazione Eastern del genere Western. Tecnica cinematografica classica, narrazione lineare, uso di masse illimitate e, sopratutto la più alta densità di sbudellamenti singoli della storia del cinema. |
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