Se Lincoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi non sia o sia in parte di Claudio Monteverdi e se il libretto di Gianfrancesco Busenello non sia o sia in parte di Gianfrancesco Busenello non è problema da risolvere qui né di nostra competenza.
Qui siamo soltanto a riferire lesito dellultima produzione del Maggio Musicale fiorentino, per la direzione di Alan Curtis nella nuova edizione del medesimo Curtis, cioè colui che ha dedicato la sua ormai lunga carriera di musicista e musicologo al teatro barocco e allopera monteverdiana in particolare, colui che non si stanca di ripetere come la straordinaria vitalità dellIncoronazione sia dovuta anche alle incertezze e incompletezze della trasmissione del testo musicale e, conseguentemente, alla libertà creativa lasciata ai realizzatori.
Susan Graham (Poppea) e Jeremy Ovenden (Nerone)
Riferiamo quindi di uno spettacolo che, musicalmente, è lontanissimo da qualsiasi possibile accusa di improvvisazione e approssimazione. E anche, diciamolo subito prima di qualche piccola riserva, di uno spettacolo assai bello e scorrevole, con un cast di cantanti tutti di grande efficacia, cosa non facilissima, data la presenza di una dozzina di “prime parti” molte delle quali di non obbligatoria definizione del registro. La scelta di Alan Curtis ci è parsa in questo senso perfetta. E perfetto il luogo, lex granducale teatro della Pergola, assai più simile allantico veneziano Grimani di quanto non siano ormai i moderni giganteschi e dispersivi teatri lirici che costringono i registi (autorizzandone così le più gratuite libertà inventive) a riempire spazi spesso incongrui con inutili macchine e baracconate (ben diverse dalla comunque contenuta e leggibile macchineria barocca).
Con lorchestra amabilmente protesa verso la platea e il direttore appunto a contatto con il pubblico, la bella e semplice macchina inventata dal regista e scenografo Pierluigi Pizzi ospita sul palco gli amori stranoti del capriccioso imperatore Nerone, della sfolgorante e ambiziosa Poppea, del “cavalier principalissimo” Ottone innamorato della matrona romana e da lei lasciato per il ben più redditizio soglio imperiale, della candida e appassionata Drusilla, dellumiliata imperatrice Ottavia, del poeta e cortigiano Lucano, di Arnalta, vecchia nutrice di Poppea, della nutrice di Ottavia, del filosofo Seneca, omaggiato a nostro avviso di una delle più belle parti gravi della storia intera del melodramma. E, distaccati da costoro, gli antichi e sempiterni dei Minerva, Fortuna, Virtù e lonnipotente vincitore Amore che giocano con le loro marionette umane. Lo spazio della scena è definito con grande ed efficace severità dallo sfondo monumentale di un colonnato che ha una faccia di stile neoclassico rivisitato e laltra di sobria allusività piacentiniana e che, con pochi tocchi, assumono le sembianze dei luoghi dellazione: il palazzo, la casa di Seneca, il giardino, etc. Inspiegabilmente affidati a quello che parrebbe essere un omonimo dello scenografo i costumi: sciatti, prevedibili e, dove imprevedibili, non straniati ma semplicemente brutti, di non divertente volgarità.
Susan Graham (Poppea) e Jeremy Ovenden (Nerone)
Peccato veniale, perdonato dal rutilante splendore dellapoteosi finale dei due innamorati (il Nerone un po grassoccio e pienamente convincente di Jeremy Ovenden e la Poppea davvero ammaliatrice per bellezza di voce e di portamento del mezzosoprano Susan Graham) sfolgoranti doro e di passione.
Le locandine allentrata minacciavano una durata di 3 ore e 40 minuti. Sono volati, a conferma che il tempo è un dato soggettivo.
P.S.
Una richiesta personale agli autori del programma di sala, qui particolarmente curato anche nella parte storiografica, e proprio per questo: da anni ormai si sa che il presunto ritratto di Claudio Monteverdi non è il suo. E invece (come anche la maschera in mano, accessorio dellarte drammatica e non di quella musicale rappresentata dal flauto, sottolinea), quello di Francesco Andreini, grande attore e autore del nostro secolo doro.
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