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Con l’occhio a Rossini
(e il destino di Donizetti)


di Paolo Patrizi
  Una scena dello spettacolo (Foto di Andreas Birkigt)
Data di pubblicazione su web 13/06/2011  

Se in Italia c’è ancora qualcuno che chiama “Dozzinetti” l’autore del Don Pasquale non sarà il caso di alzare la voce se, nella natia Germania, Albert Lortzing resta confinato tra i compositori di secondo piano. I pregiudizi verso l’inclinazione al comico, la prolificità creativa e tutto ciò che, storicamente, sa di “zona di passaggio” (tra Rossini e Verdi nel caso di Donizetti, tra Weber e Wagner in quello di Lortzing) hanno circoscritto quest’autore nel territorio autoctono e domestico della Volksoper, dei palcoscenici minori, del pubblico di bocca buona: dimenticando quanta sapienza costruttiva affiori tra le pieghe della sua orecchiabilità, e quanto si guadagnerebbe se quei tenori leggeri, quei baritoni brillanti, quei bassi comici scatenati che popolano il gran teatro del mondo lortzinghiano avessero il “legato” del grande tenore, l’espansione del grande baritono, la rotondità del grande basso.

 


Foto di Andreas Birkigt

 

A Lipsia – dove l’eclettico Lortzing lavorò come tenore, attore e Kapellmeister – si è avviato, dalla scorsa stagione, un progetto pluriennale attorno alle sue opere: e, a conferma che Lortzing non siede alla mensa dei ricchi, la sede deputata non è la grande Oper Leipzig, ma la più popolare e periferica Musikalische Komödie. Tuttavia, al contrario di quanto avviene in altre città tedesche con i palcoscenici specializzati nell’opera buffa e nell’operetta, a Lipsia questo spazio non è una realtà minore, ma una costola della programmazione del principale Teatro dell’Opera. Il fatto che si tratti di una sala incompiuta (del progetto architettonico originario si è riusciti a realizzare solo una parte della platea) sottrae forse qualcosa in termini acustici, ma non toglie suggestione, anzi il contrario; ed è un grande esempio di civiltà per noi italiani, che viviamo in un paese dove i teatri vengono chiusi senza rimpianti, vedere il pubblico lipsiense versare svariati euro all’interno del modellino plastico che mostra come sarebbe la sala ultimata, per propiziare la ripresa dei lavori.

 


Foto di Andreas Birkigt

 

Der Waffenschmied, ovvero L’armaiolo, rappresenta l’attuale capitolo del progetto Lortzing a Lipsia, ed è opera che più di altre rischia d’essere equivocata, sul piano esecutivo come su quello della ricezione. È un Lortzing ormai tardo (se è lecito usare quest’aggettivo per un autore che non arrivò ai cinquant’anni), del 1846: Wagner non ha ancora attuato la propria rivoluzione copernicana ma ha già scompaginato molti parametri, per la sorridente e accomodante komische Oper di antica memoria c’è sempre meno posto. Il sapore è quello di una rimpatriata, arguta ma disincantata, fuori tempo massimo: un po’ come per il Rossini del Conte Ory, ultimo colpo di coda nel buffo quando le esperienze e la sensibilità l’avevano fatto approdare verso altri lidi. Similmente Lortzing – reduce dal romanticismo “fatato” di Undine, e pronto a tentare ulteriori nuove strade nei pochi anni che gli restavano da vivere – torna con L’armaiolo al suo amato e declinante genere comico-conversativo: ma con una manciata di malinconia crepuscolare in più (il protagonista è, come Don Pasquale, un vecchio perdente, e il suo Lied conclusivo appare davvero il bilancio di un’esistenza) e una capacità d’introiettare nell’opera buffa gli stilemi romantici che si direbbe discendere anch’essa da Donizetti.

 

Questa messinscena alla Musikalische Komödie, tuttavia, non sembra incline al versante malinconico-intimista. La regia di Stefan Petraschewsky privilegia soprattutto gli aspetti comici, con trovate surreali divertenti, anche se non sempre ben amalgamate con il disegno drammaturgico complessivo: la visualizzazione della sinfonia, con un Adamo e una Eva cavernicoli che scoprono la pietra focaia (il fuoco, strumento di lavoro dei fabbri armaioli, sarà spesso presente in scena), sembra uscire da La pazza storia del mondo di Mel Brooks; e dà luogo a gag molto simpatiche fare dell’orrenda signorina Katzenstein – figura che non compare mai, ma inquietante presenza-assenza che rischia di rompere le uova nel paniere ai due innamorati – una gattona di peluche con cui si baloccano gli altri personaggi (Katze, in tedesco, vuol dire gatta).

 


Foto di Andreas Birkigt

 

A dare gradevolezza all’impaginazione visiva dello spettacolo contribuiscono i costumi diacronici – dal sedicesimo secolo previsto dal libretto a echi vittoriani ad abbigliamenti genericamente moderni – di Annette Braun e le scene, tra il fumetto e il cartone animato, di Paul Zoller, mentre la drammaturgia di Marita Müller sembra scorrere su un binario parallelo. Oltre a manipolare abbondantemente le parti recitate (Lortzing si mantenne fedele all’antico schema dei dialoghi parlati in luogo dei recitativi musicati), la riscrittura sposta il baricentro dell’azione verso il personaggio di Marie, facendone lo specchio di quegli impulsi libertari che, dietro la facciata Biedermeier, erano tutt’altro che estranei a Lortzing. Ne scaturisce una lettura femminista: qui – proprio al calar del sipario – la ragazza, scoperto che il suo innamorato e il misterioso corteggiatore erano la stessa persona, lascia il fidanzato, offesa che abbia ordito una simile macchinazione per metterla alla prova. Se si pensa alla vis da suffragetta che ha l’aria di Marie nell’ultimo atto, non è un finale peregrino: appare però dissonante con quel messaggio d’amore – tra uomo e donna, ma anche tra tutte le persone – su cui Der Waffenschmied si chiude e che rappresenta il tema musicale, affidato sia al baritono sia alla sola orchestra, più ricorrente dell’opera.

 


Foto di Andreas Birkigt

 

Il cast risponde solo in parte all’auspicio, accennato all’inizio, che il “minimalista” Lortzing sia affidato a voci di spessore. Spicca, in perfetta coerenza con la riscrittura drammaturgica, la Marie della giovane Jennifer Porto: lirica per impasto vocale ma intensa per fraseggio, a suo agio nei momenti spiccatamente vocalistici come nel recitar cantando – fuori da ogni schema prestabilito – del soliloquio che chiude il primo atto, e anche di bella presenza scenica. Gli altri sono più fragili, ma all’insegna della professionalità e spigliatezza. Lortzing, come in altre sue opere, manipola un lessico istituzionalizzato: qui l’amoroso è baritono, non tenore; mentre a quest’ultimo spetta un ruolo drammaturgicamente da caratterista, arricchito però da due Lieder (il secondo con interventi del coro) che hanno rappresentato pane per i denti di grandi tenori tedeschi. L’uno è Morgan Smith, che ha – se non il peso – almeno la morbidezza richiesta dalla scrittura vocale, e appare simpaticamente disinvolto sia quando indossa i panni fittizi del garzone di bottega sia quando si riappropria della veste del Conte di Liebenau. L’altro è Sebastian Fuchsberger: i due momenti solistici vengono onorati senza preziosismi, ma riesce a ricavare un vero personaggio da quella sorta di Sancho Panza con affondi comico-sentimentali che è lo scudiero Georg. Alla fine il meno a fuoco è proprio l’armaiolo eponimo, perché il volenteroso Steffen Rössler ha voce e personalità di taglia non protagonistica, e soprattutto l’aspetto crepuscolare del ruolo fatica ad emergere.

 

Carolin Masur e Milko Milev colgono bene le ascendenze rossiniane dei loro personaggi (la vecchia zitella Irmentraut canta un’aria brontolona in stile Il vecchietto cerca moglie, mentre il Cavaliere Adelhof, che appare sempre nei momenti meno opportuni, è un Don Basilio più azzimato ma altrettanto venale): la prima, forse, ha un registro di petto un po’ debole per una parte da autentico contralto comico; il secondo affianca, alla verve del commediante, una voce di basso da tenere a mente. Andreas Rainer offre il suo ottimo mestiere di artista da operetta alla figura dell’oste Brenner, il cui impegno canoro si riduce al settimino dell’ultimo atto e, per il resto, si sostanzia in lunghi interventi recitati. Tutti ben coordinati dalla bacchetta di Stefan Diederich: attento soprattutto all’involo melodico ma capace di far delibare tutte le finezze dell’architettura compositiva di Lortzing, e ben servito dall’orchestra, leggera e frizzante, della Musikalische Komödie.

 

 

Der Waffenschmied
(L'armaiolo)


cast cast & credits



 
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