Vincitore del Premio Michel D'Ornano 2010 e presentato alla 67ª Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Settimana Internazionale della Critica, Angèle et Tony è la storia di una novella Biancaneve che uscita di prigione cerca di riconquistare lamore del figlio e la propria vita. Mette un annuncio matrimoniale sul giornale ed è così che incontra Tony, “ruvido” pescatore di un piccolo paese della Normandia, dove la vita scorre lenta e duramente.
Ci sono tutti gli ingredienti della fiaba disneyana con la bella in cerca del principe azzurro, ma Alix Delaporte, alla sua opera prima, dimostra di saper trasformare una favola per bambini in una poesia scevra da banalità e retorica.
Se infatti licona di Biancaneve grava sulla vicenda anche esplicitamente, celebrata in una sequenza metacinematografica, daltro canto in quella scena Angèle recita nei panni della strega cattiva e non della bella e buona principessa; mentre è il burbero e sensibile Tony a interpretare Biancaneve per aiutarla a ripassare la parte. I ruoli sembrerebbero così chiariti, “tagliati con laccetta” e ingabbiati in rigidi schemi da apologo: Tony il buono e Angèle lalgida eroina del male… e invece scopriamo a poco a poco che Angèle non è poi tanto strega cattiva. Sarà Tony, moderno demiurgo della nobiltà danimo, a portarne in superficie la segreta dolcezza. Ecco dunque che le carte si sono già mescolate e lo stereotipo del kalòs kai agathòs appare rovesciato: Tony è brutto ma buono, Angèle bella e dannata… sarà leroina del male a portare sulla strada della perdizione Tony o piuttosto questultimo a “salvare” linfida femme fatale?!
Il film si apre con la cruda inquadratura di un amplesso senza amore, uno di quelli ai quali è ormai abituata Angèle, “una scopata”, per usare la terminologia triviale che le rimprovera fin dallinizio Tony, il quale nonostante la dura vita di pescatore conserva intatta dentro di sé una sensibilità spessa almeno quanto la corazza che la nasconde.
Lincipit chiarisce così in pochi secondi gli intenti del regista: raccontare senza falsi moralismi una storia della quale interessa la verità - dei personaggi, dei sentimenti che provano, dei luoghi che li accolgono, dellimmagine e finanche dei suoni che laccompagnano.
Così anche le fuligginose immagini dellacqua, dei pescherecci e dei gabbiani che puntellano liconografia del film, ingrigiscono una fotografia che non tende mai a edulcorare il racconto per immagini. Le nitide inquadrature della macchina da presa alternano primi e primissimi piani stretti sui volti dei personaggi (si pensi ad esempio al serrato campo contro-campo tra Angèle e lassistente sociale) a piani dinsieme sullambientazione del piccolo paese di mare: gabbiani sul molo, luoghi desolati, il peschereccio di Tony in arrivo ripreso frontalmente mentre solca lacqua scura in uninquadratura di gusto calligrafico. Poche pennellate sono sufficienti a Delaporte per delineare una cornice perfettamente funzionale alla vicenda narrata, magistralmente interpretata dagli attori. Su tutti i protagonisti Clotilde Hesme (Angèle) e Grégory Gadebois (Tony), capaci di restituire i loro personaggi attraverso una sapiente calibratura di silenzi e minimalismo dellespressione, certo aiutati in questo da una sceneggiatura (dello stesso Delaporte) che non indulge mai in inutili ridondanze. Emergono per forza visiva e intensità semantica le evocative inquadrature, per lo più frontali, di Clotilde Hesme in bicicletta che arranca a fatica in salita: è un continuo oscillare tra il suo volto apatico e il totale della strada in cui la sua esile figura si perde. Una metafora pittorica del suo insistere e resistere alla vita. Del resto proprio sul primissimo piano di unAngèle radiosa si chiude il film, mentre la diegesi rimane in sospeso, in bilico tra il matrimonio da celebrare e unalchimia familiare da costruire.
Una notazione a parte valgono le musiche di Mathieu Maestracci: struggenti melodie affidate alle corde di pianoforte e chitarra fanno da contrappunto ai rumori di fondo di questa storia - il malinconico lamento dei gabbiani, il sordo andirivieni dei pescherecci nel porto, il basso continuo dei raggi della bicicletta di Angèle - caratterizzandola al pari dei dialoghi. La colonna sonora, come limmagine, tende dunque al realismo, riuscendo a “mettere in versi” la storia di questa Biancaneve dei nostri tempi, senza perdersi nella facile retorica del film sentimentale.
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