Una caratteristica della danza di fine Novecento è quella in cui i coreografi, in continuo confronto con il monumentale e imprescindibile patrimonio della tradizione ballettistica occidentale, riprendono e reinterpretano stilemi di altri insigni colleghi trasformando la danza in unarte allusiva. Questa allusività, che spesso corre il rischio di essere tacciata di epigonismo, svolge in realtà limportante funzione di mantenere viva la lezione dei maestri consentendo alle giovani generazioni di conoscerla e alle vecchie di riconoscerla in spettacoli che regalano il gusto accattivante della novità e quello piacevole del déjà vu.
È questa in buona sostanza la chiave di lettura per inquadrare ed apprezzare il lavoro di Dwight Rhoden e Desmond Richardson e della Complexions Contemporary Ballet, la compagnia multirazziale fondata a New York nel 1994 da questi due fuoriclasse afroamericani. Il primo definito «uno dei più famosi e ricercati coreografi di oggi» ha alle spalle uninvidiabile carriera di ballerino nellAlvin Ailey American Dance Theatre, il secondo considerato «uno dei più grandi danzatori moderni di oggi», vanta anche lui un illustre passato nellAlvin Ailey, nellAmerican Ballet Thaeatre e collabora con Dwight alla realizzazione di spettacoli musicali e televisivi.
Un momento dello spettacolo
La Complexions Contemporary Ballet al Teatro del Giglio di Lucca ha presentato un tributo ai grandi della danza americana (Ailey, Graham, Limon, Forsythe) con un trittico in stile Rhoden&Richardson. Uno stile fatto di sincretismo culturale, razziale, coreutico, coreografico, in cui, accanto alla voluta allusività, la danza è vitale e vitalistica, energica ed energizzante, capace di coinvolgere lo spettatore in un tourbillon di luci, colori, suoni, passi, che piace, diverte, riscuote consensi e soddisfa anche per la bravura degli interpreti.
Interpreti che sfoderano una preparazione invidiabile frutto di una profonda conoscenza della tecnica classica, moderna e contemporanea, del free style, del mitico jazz di Broadway “alla Bob Fosse”, e di una forma atletica capace di sostenere il ritmo “indiavolato” di sequenze ricche di velocità, respiro, leggerezza ed eleganza.
Tutti “ingredienti” di uninnovativa estetica del movimento che Dwight Rhoden e Desmond Richardson mettono in scena grazie alla Complexions Contemporary Ballet e propongono nei tre pezzi “lucchesi” firmati da Rhoden e intitolati Mercy, Hissy Fits e Rise.
Mercy, definita una “coreografia epica” e firmata a quattro mani con Richardson, rappresenta il sogno della tolleranza umana e religiosa. Fra spiritual, gospel, canti islamici, ebraici, cristiani, nella creazione sono evidentissimi e voluti i riferimenti a Alvin Ailey nei gospel ballati con le ampie gonne rotanti di Christine Darch, a José Limon nella sacralità del gesto e alla poetica di Martha Graham. Quest'ultima richiamata nei dinamici e circolari movimenti delle braccia, delle gambe che riempiono daria le lunghe vesti e animano palcoscenico. Il tutto in un pezzo un po sovrabbondante a cui difetta leccessiva lunghezza, dettata forse dallincontenibile desiderio di Dwight di celebrare i suoi “padri naturali”.
Un altro momento dello spettacolo
Più contenuta e “asciugata” è invece Hissy Fits, una coreografia di Rhoden su musica di Bach, che si colloca nellalveo del balletto contemporaneo ed ha come punto di riferimento lo stile postclassico di William Forsythe con tutta una serie inconfondibile di ardui disequilibri in decalés, duetti acrobatici, “prese” estreme, che, esaltate dalle luci di Michael Korsch, mettono in luce lottimo livello di tutti gli elementi della Complexions Contemporary Ballet.
La formidabile compagnia che chiude il trittico con Rise, un pezzo su notissime canzoni degli U2 fra cui i celebri I Still havent found what im looking for, With or without you, Pride. In the name of love, Beautiful Day. E mentre la bella e limpida voce di Bono trascina gli spettatori, i danzatori non sono da meno e nelleseguire soli, duetti, ensemble, creano una sorta di happening in puro jazz che strappa applausi e regala ai “danzomani” la gioia di assistere ad uno spettacolo coinvolgente ed esaltante e ai “danzologi” il gusto di riconoscere echi coreografici e stilistici.
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