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Viva l'Italia?

di Roberto Fedi
  Viva l'Italia?
Data di pubblicazione su web 22/02/2011  

Certo, quando abbiamo letto che il neo patriota Roberto Benigni, per 52 minuti (un’eternità, onestamente) di diretta da Sanremo, tutta amor di patria e di urli “è memorabile!!!” sberciato un centinaio di volte a proposito di tutto e di tutti (Mameli, il musicista Novaro, Garibaldi, la bandiera…), quando abbiamo letto, dicevamo, sul “Secolo XIX” di Genova, che essendo lì vicino ha le sue fonti sicure, che il suddetto neo patriota si è portato a casa 500 (diconsi: cinquecento) mila euri, insomma mezzo milione (un miliardo di vecchie lire, come si dice), onestamente siamo rimasti senza parole.

 

E l’amor di patria? E la retorica piagnistea (pardon) sul povero Goffredo, ventenne morto per noi, per i nostri figli, per tutti gli italiani? E morto gratis, per giunta? E sul popolo che fece l’Unità? (questa, dove l’abbia letta, poi non si sa). E su Anita Garibaldi, morta incinta? (gratis anche lei). E sulla bandiera tricolore inventata da Mazzini prendendo spunto da Beatrice, che nel Paradiso di Dante appare cinta di quei colori, bianco rosso e verde? (anche questa, dove l’abbia trovata è un mistero: la bandiera, sia detto per rispetto alla verità, la inventò una trentina d’anni prima Giuseppe Compagnoni, letterato e grande spirito libertario dopo essere stato prete e spretato: propose il tricolore nella seduta del 7 gennaio 1797 della Repubblica Cispadana, di cui era segretario generale, e la disegnò su imitazione naturalmente della bandiera francese, allora simbolo di libertà, inserendo il verde al posto del blu – la cita anche in un celebre monologo il principe di Salina nel Gattopardo, l’imitazione francese vogliamo dire, ma non si può pretendere che il neo patriota l’abbia letto. Lui legge [?] solo Dante).

 

Insomma: abbiamo guardato tutto lo sproloquio senza né remore né preconcetti.  Alla fine Morandi era (fingeva di essere) commosso. Il pubblico, ti pareva, ha tributato la regolamentare standing ovation. Noi eravamo distrutti.

 

Benigni, ci dispiace, non ci piace più. È stato tante cose, spesso notevoli. Ora fa il corifeo di regime nazional-popolare, forse perché si è accorto che il furbo Saviano gli sta togliendo la sedia da sotto il sedere. Il giovanotto più banale d’Italia, onestamente, a Benigni non è degno di allacciargli le pantofole, sia detto per onestà critica, ma non è che per questo l’ex incendiario ora pompiere ce la possa cantare così, come se fossimo un La Russa qualsiasi (il quale c’era, e applaudiva in piedi). Gli sproloqui d’un’ora, le esegesi (buona questa) dell’Inno di Mameli fatte col fiatone e sbagliando le rime, i versi, i soggetti, le faccia fare a chi le sa fare. Aggiorni il suo dizionario di sinonimi: nella bella lingua italiana (come direbbe lui) non esistono solo memorabile, straordinario, o spettaholare. Lasci perdere. Anni, molti anni fa, da Sanremo Benigni fece scandalo chiamando, ma affettuosamente anche se burlescamente, il papa Giampaolo II “Voitilaccio”. Apriti cielo. Quello era il Benigni vero. Certo che non si può neanche rimanere sempre uguali: ma quando uno si cucca mezzo milione per blaterare quasi un’ora, almeno si rinnovi, e la smetta di fare il corifeo del luogo comune.

 

Se non sa ormai fare altro, stia a casa, al calduccio, a cantarsi l’inno.

 

PS. Noi amiamo, con molte riserve, questo paese, soprattutto quando siamo all’estero. Infatti abbiamo visto Benigni in versione patriottarda dalla Francia. Ci siamo sentiti onestamente imbarazzati. Fuori, c’era un sacco di gente che lavorava, e fra questi molti italiani. Anche noi eravamo lì per lavorare.  L’Italia che ci piace, lo diciamo senza retorica, è quella. Sanremo ci fa schifo.

 

 




 
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