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Decadenza di una famiglia

di Vincenzo Borghetti
  le Valchirie (in torno), Vitalij Kowaljow (Wotan), Nina Stemme (Brünnhilde)
Data di pubblicazione su web 10/01/2011  

Gli errori prima o poi si pagano. Nel caso di Wotan si pagano cari. Il Rheingold, vigilia del Ring des Nibelungen, si era concluso sulla speranza di vittoria, e aveva visto gli dei fare il loro ingresso trionfale nel Walhalla dopo aver scongiurato le minacce dei Giganti. C’era, è vero, quel pianto delle figlie del Reno che reclamavano l’oro non restituito; ma Wotan e i suoi le avevano bellamente ignorate nell’entusiasmo generale per la nuova dimora. Nella Walküre però tira un’aria diversa: la festa d’inaugurazione è finita da un pezzo, e Wotan è ben consapevole dell’impossibilità del suo sogno di potenza. Costruito a prezzo di inganni, sangue e tradimenti, il Walhalla può essere solo una tomba per gli dei, stirpe sul viale del tramonto. Nel secondo atto della Walküre Wotan, infatti, si abbandona con la figlia Brünnhilde al bilancio della sua vita e delle sue opere, e può mettere in fila solo fallimenti: è un dio senza più illusioni di dominio o anche solo di grandezza; la fine, lui lo sa bene, è ormai invitabile.

 


Waltraud Meier (Sieglinde), Sir John Tomlinson (Hunding), Simon O'Neill (Siegmund)

 

Die Walküre è la presa di coscienza del Verfall di una famiglia, di una stirpe e di un mondo. Più che il dio guerriero delle saghe nordiche il Wotan disegnato da Wagner nella prima giornata del Ring somiglia al protagonista di un romanzo (tardo) ottocentesco: il patriarca borghese che ha passato gli anni migliori (il Rheingold) a costruire e difendere ad ogni costo il prestigio della sua famiglia e che nel momento di godersi la pensione nella grandiosa villa-con-vista-sul-mondo cade in una depressione distruttiva, gravato dai rimorsi, costretto dalle circostanze e dal ruolo sociale a sacrificare suo malgrado la figlia prediletta e non ancora disillusa, colpevole solo di aver creduto fino in fondo agli ideali di libertà, giustizia, amore ai cui valori lui stesso l’aveva educata.

 

Questa connotazione borghese della Walküre è la chiave di lettura della regia di Guy Cassiers che alla Scala, dopo il Rheingold dello scorso maggio, ha messo in scena l’opera di Wagner presentata come inaugurazione della stagione 2010-2011 (in coproduzione con la Staatsoper unter den Linden di Berlino e in collaborazione con il Toneelhuis di Anversa). Come già nel Rheingold , Cassiers non è interessato agli elementi eroici della Walküre: al loro posto esalta invece quegli aspetti che rendono l’opera più simile al romanzo che all’epopea. Al centro della sua regia ci sono quindi le vicende familiari, le relazioni e i conflitti che legano e oppongono Sieglinde, Siegmund, Hunding, Fricka, Wotan, Brünnhilde come donne, uomini, sposi, padri, figlie, amanti. Per Cassiers costoro costituiscono il microcosmo di una società più vicina a quella di Wagner e alla nostra che a quella di una eroica alba dei tempi. Nella Walküre della Scala Sieglinde e Hunding non vivono più in una capanna attorno ad un frassino; sono solo una coppia borghese infelice qualsiasi: lui è troppo vecchio, lei succube. La loro infelicità è però rispettabile, racchiusa nel mondo dei comfort da famiglia della middle class: hanno una casa con giardino linda ed elegante (le videoproiezioni di Arjen Klerkx e Kurt D’Haeseleer la mostrano tutta bianca), in cui il fuoco arde nel camino a parete fine-Ottocento, e vestono abiti da pomeriggio di buon taglio (i costumi sono di Tim van Steenbergen). Insomma, sono una coppia secondo le regole, dunque sono la famiglia ideale protetta da Fricka, la dea che veglia sui matrimoni purché comme il faut. A sua volta del dio guerriero Wotan conserva qui la lancia, ma, come Hunding, veste in giacca; rispetto ai suoi anni (ancora) ruggenti del Rheingold, si cura però meno e sfoggia una zazzera fuori luogo. Le Valkirie non hanno né cavalli né armi né armature e, come Fricka, girano in abiti da gran sera. Siegmund, il personaggio che per una passione irregolare (si innamora, corrisposto, della sorella) scombina l’ordine sociale/divino della famiglia borghese, è invece il solito viandante trasandato. Il Walhalla poi, per quanto si desume da un arredo scenico ridotto all’essenziale (scene e luci di Enrico Bagnoli), più che una rocca imponente sembra una villona un po’ sopra le righe che, con un imbarazzante trionfo di cavalli marmorei, ostenta una potenza che di fatto non c’è più.

 


le Valchirie

 

Demitizzata, la Walküre di Cassiers è però anche despettacolarizzata. Scarso, come accennato, il décor scenico, e poche e poco spettacolari le videoproiezioni (come già nel Rheingold), per lo più immagini fisse o con movimenti rallentati. Dal punto di vista teatrale alcuni momenti sono nondimeno molto efficaci, come la prima scena con l’inversione (la sovrapposizione?) interno/esterno della casa e del giardino di Hunding e Sieglinde, o l’annuncio di morte a Siegmund in cui la foresta verdeggiante proiettata su fusi calati dall’alto si raggela in toni di grigio per l’arrivo di Brünnhilde, o anche la morte di Siegmund sottolineata da un’improvvisa linea luminosa verticale di colore rosso in una scena tutta in bianco e nero. Per il resto la regia di Cassiers non si distingue né per l’incisività né, spiace riconoscerlo, per la qualità tecnica del suo apparato visivo. Sapevo, per aver visto il suo Rheingold, che non vi avrei trovato nulla della follia visionaria à la Fura dels Baus, ma non mi attendevo nemmeno né che in uno dei momenti più patetici come l’incantesimo del fuoco venisse calato su Brünnhilde un grappolo di faretti fumanti e sgocciolanti simili alle lampade termiche per i dolori reumatici, né che in uno degli altri momenti spettacolari dell’opera, l’inizio del terzo atto, le proiezioni mostrasero visibili imperfezioni. Al momento della cavalcata delle Walkirie sullo sfondo è proiettato un video con un grumo di corpi e un enorme cavallo che si muovono lentamente; ad un certo punto, almeno nella recita del 17 dicembre, è stato evidente lo scatto dovuto alla saldatura imperfetta del loop del video. Poiché nelle altre proiezioni ciò non si verificava, la mia impressione è che non si sia trattato di un effetto voluto. Che le proiezioni siano state l’anello debole di questa produzione è stato chiaro a tutti fin dalla prima; anche chi ha seguito la ripresa televisiva in diretta dello spettacolo ha notato come per tutto il secondo atto la metà destra della scena sia rimasta sempre al buio (da qui forse i “buuu” all’uscita di Cassier alla conclusione dell’opera). Da una produzione milionaria come questa ci si attendeva come minimo una prestazione più professionale.

 


 le Valchirie, Nina Stemme (Brünnhilde), Waltraud Meier (Sieglinde)

 

Video e scelte registiche a parte, sempre nella scena della cavalcata solo chi come me era in posti molto laterali avrà potuto forse intravvedere anche due danzatori acrobati che facevano evoluzioni sospesi dietro lo schermo delle proiezioni, da queste quasi del tutto coperti. Nella versione televisiva non erano visibili e credo proprio che nessuno li abbia visti nemmeno in teatro, tanto più che alla fine non sono usciti a ringraziare il pubblico.

 

Di tutt’altro livello la parte musicale. Il direttore Daniel Barenboim ha ottenuto dai complessi della Scala, qui in una delle loro prove migliori, un suono lucente dai toni metallici. Un Wagner il suo dai tempi distesi, tutto linee melodiche sovrapposte e intrecciate eppure sempre trasparenti, un Wagner insomma senza le pastosità cosiddette romantiche, ma anche senza nervosismi modernisti. Memorabili l’annuncio di morte di Brünnhilde a Siegmund alla fine del secondo atto e l’addio di Wotan a Brünnhilde alla fine del terzo. Ottima la prova dei cantanti. Simon O’Neill , dopo qualche incertezza alla prima (per un paio di recite è stato sostituito da Frank van Aken, che ha riscosso un buon successo), ha dimostrato di avere i mezzi tecnici per Siegmund, anche se non è stato generoso di forti coninvolgimenti emotivi nel dare voce e corpo al personaggio. Del Wotan di Vitalij Kowaljow ho apprezzato la potenza della voce, la bellezza e omogeneità del colore, la chiarezza della dizione. Dal canto suo John Tomlinson ha esibito sulla scena e nella voce tutta la sua lunga esperienza wagneriana; è stato quindi l’interprete perfetto per l’Hunding patriarcale di Cassiers. Nonostante l’eccellenza generale del cast, stavolta, a differenza del Rheingold, sono state le interpreti femminili ad offrire la performance migliore, a partire dalla Fricka esemplare nella sua inesorabilità sia vocale sia scenica di Ekaterina Gubanova. La Brünnhilde di Nina Stemme si trova pienamente a suo agio sia nella scrittura virtuosistica del grido di guerra dell’inizio del secondo atto, sia nei passaggi patetici dell’annuncio di morte a Siegmund e della scena con Wotan nel terzo atto (commovente il suo «War es so schmählich»), mentre la Sieglinde di Waltraud Meier è magnifica per efficacia nella recitazione (notevole soprattutto nei primi piani della ripresa televisiva), per musicalità, e non da ultimo per padronanza dei mezzi vocali.

 


 

Die Walküre



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