Limpressione che si ha assistendo ad uno spettacolo di Saburo Teshigawara è sempre di stupore e lapplaudita prima nazionale di Obsession al Teatro Ariosto di Reggio Emilia non fa eccezione. Stupore per la bravura degli interpreti, in questo caso la stupenda Rihoko Sato della compagnia Karas (corvo) di Teshigawara, e lo stesso Saburo, vero e proprio maestro della scena coreografica internazionale.
Stupore per labilità con cui lartista giapponese, che firma la messinscena, “si eclissa – per dirla alla Flaubert - come Dio nella creazione” e lopera – per usare le parole di Verga - “sembra essersi fatta da sé”.
Stupore per la capacità con cui Teshigawara plasma e modula hic et nunc la sua danza. Un danza fisica, sinuosa, plastica, ipnotica, ritmica, statica, dinamica, morbida, nervosa, che lui definisce “accadimento fenomenologico” per il rapporto con il tempo e lo spazio e in cui lazione è il riflesso tra ciò che accade fuori e dentro di noi. Un ‘fenomeno visivo, slegato da stili e tecniche di riferimento, che nel costante flusso materico e spirituale sprigiona un raffinato gioco di antinomie cinetiche contemporanee.
Obsession (photo by Bengt Wanselius)
E ancora stupore per la poetica di un autore che, formatosi con il rigore del balletto classico e appassionatosi allo stadio delle arti plastiche, ha sviluppato una filosofia del movimento che sposa pensiero coreutico dOccidente e dOriente e ricerca una nuova forma di bellezza coreica. Una forma che ha consentito a Saburo di ottenere riconoscimenti internazionali come danzatore, coreografo e direttore della compagnia Kara, fondata nel 1985, e lo spinge con Obsession ad ispirarsi a Un chien andalou, il film muto che Louis Buñuel creò nel 1929 insieme a Salvator Dalì.
Un corto di 16 minuti in bianco e nero diventato emblema del surrealismo e sonorizzato da Buñuel nel 1960 con il “Liebestod” da Tristano e Isotta di Wagner e due tanghi argentini.
Obsession, che pure non è una versione coreografica della pellicola, prende le mosse dalla famosa scena iniziale dove un uomo - Buñuel - affila un rasoio con cui ad una donna, seduta in primo piano, taglia locchio sinistro. Unimmagine raccapricciante che in realtà, nellottica della rivoluzione surrealista, vuole costringere con violenza lo spettatore a guardare quello che non vuole o non ha mai voluto vedere.
E lo stesso fa Teshigawara che con Obsession chiede al pubblico di domandarsi cosa significhi “guardare la realtà” e “aprire gli occhi al di là dellevidenza”. Nel caso di Un chien andalou il difficile e sofferto rapporto tra un uomo e una donna visto con la macchina da presa, nel caso della mise en danse lossessione di questo rapporto osservato dal punto di vista della prossemica. Ovvero attraverso uno sguardo sui significati psicologici che assumono le distanze materiali tra i due e che sono il frutto di sottili dinamiche in cui la sofferenza diventa singulto, sbigottimento, visceralità, che alla fine lacerano e sfiniscono lamore.
In cinquanta minuti e in unambientazione minimalista con quattro sedie, un tavolo, lampadine incandescenti, ed effetti luce che tagliano come una lama ‘locchio dello spettatore, si consuma il dramma umano e sentimentale dei due protagonisti ossessionati dalla reciproca passione.
Lei in body color carne, lui in completo scuro, traducono in danza lirrazionalità di un sentimento che non solo li travolge emotivamente ma nella resa cinetica dell“accadimento fenomenologico” costringe i presenti a scoprire ciò che accade nellinconscio. Un inconscio a cui si allude nella sostanziale staticità della coreografia che si sviluppa al centro del palcoscenico e coglie, lasciando il resto dello spazio in penombra, la paranoia amorosa, a sua volta acutizzata dalle Quattro sonate per violino di Fanny Clamagirand e dalle ‘spigolosità dellorchestica ‘teshigawariana.
E se lelegante Saburo resta impresso per la fluidità delle sue evoluzioni e involuzioni che lo portano a interagire con la figura femminile in sequenze accelerate e rallentate, ma sempre caratterizzate da una postura controllata, è la straordinaria Rihoko a dover dare corpo alla lacerante ossessione di questo instabile rapporto di coppia. Ossessione che traspare dalle inusuali contorsioni dei suoi arti e dalle innaturali posizioni che assume quando è stesa a terra, è sdraiata sul tavolo, è accucciata sotto di esso, in un riflesso speculare di quanto accade nella mente. Mente che se vuole può negare o rimuovere il dolore ma il corpo, nella sua naturale fisicità e istintività, lo rivela esternando langoscia e il valore psicologico della prossemica. Quella prossemica che il linguaggio della danza, più delle parole, riesce a mettere in luce nel calzante fluire del dettato coreografico di Saburo, che cura scene, luci, costumi, musica, nella percezione reale e al tempo stesso surreale di un “accadimento fenomenologico” che riconferma la genialità di questo shogun della danza odierna.
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