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La natura è benigna (e femminile)

di Gabriella Gori
  Tristi tropici
Data di pubblicazione su web 18/11/2010  

Virgilio Sieni è un coreografo colto e un esperto della scena tanto da allestire produzioni in cui  sfumano i contorni tra danza, teatro, regia, e sorprendere per quella maestria teatrale con cui riesce a trovare originali soluzioni e stupire lo spettatore. Tristi Tropici, coprodotto dalla Biennale de la Danse di Lione e la Biennale Danza di Venezia dove ha debuttato a giugno 2010, e proposto con successo in prima toscana al Teatro Era di Pontedera, non fa eccezione e si presenta come uno spettacolo raffinato, che punta sull’illusione scenica e sull’impatto visivo creando un’atmosfera ovattata, evanescente, ancestrale, eppure palpabile e avvolgente.
 


 

Sieni dopo aver ‘attraversato’ la tragedia classica con la trilogia ispirata a Eschilo ed esser poi passato ad indagare il poema didascalico De rerum natura di Lucrezio con un altro trittico, questa volta approda ai Tristes Tropiques di Claude Lévi-Strauss. L’opera in cui l’antropologo,  scomparso nel 2009, racconta dei suoi contatti con gli ultimi indigeni del Mato Grosso e testimonia come la donna costituisca ancora il nerbo di una comunità che ha perso i tratti del “buon selvaggio” di Rousseau ma può ancora contare su una Natura benigna di leopardiana memoria. Quella Natura benigna e innocente che Virgilio richiama fin dall’inizio con una coda di pavone che spunta dal sipario, un pesce con squame brillanti e due lunghissimi colli di cartapesta con teste di struzzo, ideati da  Chiara Occhini, che si congedano con un morbido inchino e annunciano il finale della pièce. Una pièce tutta al femminile in cui quattro danzatrici Simona Bertozzi, Ramona Caia, Elsa De Fanti, Michela Minguzzi, due piccole allieve e la non vedente Filippa Tolaro, raccontano di una società che non ha perso «l’opportunità di restare femmina». Quell’opportunità che invece secondo Lévi-Strauss l’Occidente ha forse smarrito per sempre.

 

Il coreografo fiorentino costruisce il suo Tristi Tropici con queste vaghe e amorevoli figure muliebri, depositarie di una saggezza arcaica, cogliendole nell’ineluttabile passare di generazione in generazione, in un richiamo al De rerum natura lucreziano, e nel saper accogliere e indicare la strada anche a Filippa quando, dalla platea, si dirige sicura verso le altre per iniziare un viaggio in cui torna prepotente il mito della “Grande Madre” Cibele. La terra che genera e sostenta, assimilabile a questa donne e bambine delicate, eppure forti, uniche depositarie del segreto della vita e della sopravvivenza.

 

 

Virgilio poeticamente celebra così la figura femminile accompagnato dal suadente tappeto sonoro di Francesco Giomi, le calde e diafane luci di Marco Santambrogio, i semplici costumi di Lydia Sonderegger, mentre al linguaggio della danza, inconfondibilmente seniano con quelle involute torsioni e contorsioni contemporanee, è quasi dimenticato per restituire con la gestualità fisica il pensiero della mente. Un pensiero percepito nel rispettoso silenzio, nel frusciare del corpo sul pavimento, nello strisciare di un piede, nel gesto che taglia l’aria, nello svelare la meravigliosa «opportunità di restare femmina»

 

Ecco allora il bel duo di Simona Bertozzi e Michela Minguzzi in gonna rosa che intrecciano corde, creano oggetti, o quello di Ramona Caia e Elsa De Fanti, quest’ultima non più giovane ma capace di portare i segni di un nobile passato coreutico al Teatro Comunale di Firenze, o il coeso gruppo nomade di tutte le protagoniste con i capretti al collo che portano un messaggio di vita e amore grazie alla loro carezzevole presenza. Una presenza che sembra vincere gli oscuri figuri che premono alle pareti da cui è delimitato lo spazio d’azione e azzerare il pericolo di un mondo che, rimasto privo del maschio, trova nella femmina le ragioni della sua stessa sopravvivenza.

 

 

Spettacolo d’autore, complesso, ricco di riferimenti e suggestioni, Tristi Tropici resta soprattutto impresso per la bravura degli interpreti e la sapientia con cui Sieni riesce a far proprio il concetto di artificium teatrale. Una dote che gli consente di creare un’opera sui generis in cui però la profondità del messaggio, unita a una drammaturgia non sempre di facile lettura, rischia di perdersi nell’artefatto, nell’intellettualismo, a scapito della leggerezza e della spontaneità. Leggerezza e spontaneità che comunque sono palesi nella poesia visiva di Tristi Tropici e nel rispetto con cui Virgilio rende omaggio alla figura femminile.

 

 

Tristi Tropici
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