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Un'eroina in costume da bagno

di Annamaria Cascetta
  La locandina
Data di pubblicazione su web 04/10/2010  

A settembre è approdato a Dublino, al Pavilion Theatre, l’ultimo lavoro di Enda Walsh, il quarantenne autore irlandese, reduce dal riconoscimento del premio nella sezione fringe del Festival di Edimburgo, tappa di una tournée che porta lo spettacolo a Londra e a New York. La realizzazione è della Compagnia Druid (nata nel 1975 all’interno della National University of Ireland di Galway e presto affermatasi come una delle prime compagnie irlandesi di lingua inglese): interpreti attori molto bravi del calibro di Niall Buggy, ma anche di Denis Conway, Tadhg Murphy, Karl Shiels, Olga Wehrly.

Rivisitazione in chiave tragicomica moderna della storia mitica di Ulisse e Penelope, con una forte impronta beckettiana e una profondità di significati che vanno dal piano minimalista quotidiano alla riflessione sul punto cui oggi è arrivata l’idea della vita nella cultura occidentale, all’analisi dell’esistenza e dei grami risultati che l’uomo ha raggiunto nella costruzione di sé, alla profezia della fine della storia e del patto fatto da dio, forse, con gli uomini. E rivisitazione, anche della storia biblica e dell’Apocalisse.

In scena ci sono quattro uomini di diversa età: sui trentacinque Burns, sui quarantacinque Quinn, sui cinquantacinque Dunne, sui sessantacinque Fitz. Li accomuna una stessa attività: il business. Diversi i tipi: il distaccato Fitz con ambizioni intellettuali, accanito lettore di Omero, il viveur cialtrone e vanitoso, Dunne, il prepotente e volgare Quinn, che nasconde dietro i capelli tinti l’insofferenza per l’incipiente avanzare dell’età, l’isterico e maligno Burns, che morde malamente il freno, servile e in malafede. Provinciali, ma uomini di “distinzione”. Essi stanno sull’orlo di una piscina ormai priva di acqua, malandata e con un bric à brac di normali oggetti male assortiti e male in arnese. La metafora è lampante. Si tratta di un mondo alla fine. In mezzo campeggia una strana macchina, un oggetto misterioso piovuto lì non si sa da dove e da chi, grande, luccicante e minaccioso, un barbecue che non funziona. Tutto ruota intorno ad esso.

DUNNE The sender unknown, and me and Fritz and Murray sat about speculating the sender’s identity while Quinn fired up the barbecue. Oh,we had big dreams then! Massive! I’d imagined us standing around like a group of friends, eating hot meats, drinking cool beers, talking business into the early hours.

QUINN But it farted out a tiny fire and has since been extinguished, Bastard.

DUNNY It’s a garden tragedy, is what it is! A real bastard!

FITZ We should have removed it a long time ago. It’s actually mocking us by sitting here! It’s placing unworkable images in our heads, boys. It’s a pornography!

I quattro sono tutti impegnati, come i Proci dell’Odissea, a cercare di conquistare Penelope, il cui sposo è lontano a combattere per la sua eroica missione. L’obiettivo è far crollare l’assoluta fedeltà di Penelope. Questa, una bellezza composta e luminosa, avvolta nel suo elegante abito verde, sta  seduta su un piano alto rispetto alla piscina, ferma, in attesa. Osserva in uno schermo quel che avviene giù, soffermandosi ora su uno ora su un altro dei personaggi, a seconda di dove punta l’obiettivo della telecamera.

I quattro dicono delle parole e compiono dei gesti, per sopravvivere, per convivere, per conquistare. I gesti contraddicono spesso le parole, la sostanza dei primi smentisce il senso delle seconde. Il linguaggio verbale svaria: doppi sensi, come la tirata sulla salsiccia (strettamente collegata alla carota di beckettiana memoria), millanterie rivelatrici, come quella sulla competizione:

DUNNE Even after all this time,the competition.

QUINN What else there?

DUNNE You’re right.

QUINN There’s nothing else.

Si succedono battute piene di brividi e di cattiveria: sulla vecchiaia che incartapecorisce il corpo e fa vacillare la testa; sulla morte, quella gelatina in cui tutti stanno per trasformarsi. Battute di copertura, di fuga come quella sui libri che esercitano la mente e «maintain in the fight». Sadismi, insulti, sarcasmi, narrazioni di sogni premonitori come quello del barbecue che prende fuoco, retorici shows che ostentano i valori dell’onore, dell’amicizia e decantano presunte diversità di uomini superiori e finiscono in ossimori volgari («DUNNE I shit honour»), in smentite disincantate («QUINN We are all men of business! We bring what we were in the old world to this place! We are all the same type of men!»): quello che è dato come il migliore degli uomini, vittima della cattiveria altrui, avrebbe venduto sua nonna per un buon affare. Qualcuno, come Fitz, ostenta profonde e patetiche riflessioni filosofiche sul nulla per colpire la bella Penelope («FITZ I will forget my past, forget the real world, sit in my nothingness and begin with a new idea…an idea…of…you»), altri, come il maligno Burns si impegna a smascherare la malafede sotto le altrui parole («BURNS But your words have meant nothing to her! She’s an object to you, an ending, another deal»). I gesti rivelano isteria, avidità, disagi psichici, aggressività e violenza: Burns lava ossessivamente le tracce  di sangue lasciate dal suicidio di Murray, Quinn divora avidamente la salsiccia, Fritz svuota il tubetto delle pillole e le inghiotte, tutti si lanciano oggetti, si aggrediscono, lottano.

 

La vicenda sembra avere a un certo punto una svolta. I quattro decidono di cambiare tattica per salvarsi, decidono di abbandonare la lotta e la competizione fra loro e di cooperare perché uno raggiunga l’obiettivo: conquistare Penelope. Saranno una «company»: non ci sfugge l’ambiguità del termine, una compagnia o un’azienda d’affari? Ognuno fa la sua esibizione, apparentemente sostenuto dagli altri. Ma quanto possono durare onestà, legge, comunità? Sembra che qualcuno di loro possa fare breccia e catturare l’attenzione di Penelope: Fitz col suo discorso sul nulla e col riconoscimento del suo errore, Dunne con il racconto lirico della sua «visione» di innocenza che nel crollo del mondo abbandonato improvvisamente dalla gravità lo riporta all’infanzia e lo abbandona all’abbraccio della mamma, Quinn con i suoi travestimenti da cabaret che mettono in burla e in grottesco tanti millantati eroismi e amori: Napoleone e Kennedy, Romeo e Giulietta e Rossella O’Hara, al suono di un romantico motivo. Sembra che per un momento Penelope creda all’autenticità del ravvedimento: sembra che questi uomini siano ancora capaci di pensare all’esistenza e alla morale, di sentire l’attrazione dell’innocenza, della pietà (e la Pietà è evocata dal gesto di Jackie sul corpo di John), di ciò che c’è sotto le incrostazioni, di ridere dei propri falsi miti.


Ma lo spiraglio si richiude subito. E tutto finisce in una bagarre di insulti, volgarità, aggressioni reciproche. Si rinfacciano le loro bugie. E anche Burns che ostenta sufficienza e buoni sentimenti non è che un buffone con in testa un patetico cotillon. E altroché amicizia, intesa, affetto. Non ha mosso un dito per salvare Murray il suo presunto amico suicida, perché in realtà, per invidia, voleva vederlo solo morto e perché in realtà conosce solo l’odio:

QUINN […] every history of you, every fibre of Burns is carved from hate! Hate is your friend! Hate evolves our spirit, our dreams, our society! Whi came to this island and we’ll use what we can to win her, to win our freedom, to win power! What do you know about love, Burns!? With whatever means you must triumph and crush…that is your one fucking, belief! Without keeping that alive, what has your life been, man? Nothing!

I quattro uomini sono ora fermi, in piedi. Quinn prende il pallone a forma di cuore che campeggia in scena e lo getta sul barbecue. Si sentono ormai finiti. Fitz scopre che per tutta la vita ha combattuto e ora sta andandosene in completa indifferenza:

FITZ […] I have left…nothing.

Quinn cade accoltellato da Fitz, da Dunne, da Burns. Tutti e tre sono coperti di sangue. Burns, il perfido frustrato, il mentitore, il malvagio suggeritore del male tenta ancora la menzogna retorica con la sua ultima sviolinata che si sbriciola in frammenti, lacerti di parole vuote:

BURNS […] (Pause) And it’s hope falling…and freedom…and trust…and goodness…and good dreams…and possible loves…and promise…and real care…and  happiness …and sun…and affection…and friendship…and Murray…and tenderness…and love. Of course, love. The world above evaporates in its own darkness and the pool is filling with all this good, Penelope. (Slight pause.) Your beginning…is now.

Ancora una volta Beckett insegna. Penelope, che stava per cominciare a scendere le scale, si è fermata, si gira, guarda giù. Gli occhi le si riempiono di lacrime. Improvvisamente il barbecue va in fiamme, come nel sogno premonitore. Le fiamme, partite dal basso, invadono tutto. I tre guardano, pronti a morire. Lo sguardo di Penelope è ormai lontano, fuori dal quadro, verso un altro futuro.


Nel procedimento di una scrittura drammaturgica in cui il piano verbale e il piano scenico si intrecciano strettamente, secondo la lezione beckettiana della “partitura”, e in cui il testo è scritto pensando alla scena e non è concepibile al di fuori di essa, il tema alto affiora sotto l’apparente banalità e quotidianità del dettato. Realismo e simbolismo, lirismo e tagliente lucidità, immagini e battute di un dialogo sempre serrato e efficace, astrazione allegorica e concreta caratterizzazione, mescolanza dei generi e dei toni.

«Time’s a tragedy», dice a un certo Quinn e, ridendo, Fitz aggiunge che quella era una battuta ricorrente della madre, che parlare non sapeva e opinioni non ne aveva. Sì, ma che il tempo sia una tragedia è il tema di fondo di tutta l’opera. Il tempo dell’uomo si è invischiato nella storia delle storie che lui stesso si è costruite e dalle quali si lascia modellare. L’uomo non riesce più a essere autentico. La sua è l’esistenza inautentica di cui Heidegger ha parlato. L’occidente ha puntato tutto sulla competizione, sugli affari, sulla riuscita nel denaro, esportando anche il suo modello, ma cosa raccoglie? Una vasca per nuotatori, gremita di inutili cose, ma priva di acqua dove non si può più galleggiare. L’uomo ha privilegiato e coltivato l’odio, l’aggressività, la gelosia, la malafede, la slealtà, la forza e ha perduto la possibilità dell’amore, dell’innocenza, della fedeltà, della lealtà. La libertà che gli è stata data di costruirsi è stata malamente e distruttivamente usata. Ha accettato di puntare sul narcisismo. Esito? La distruzione, il fuoco.

A differenza di  molti drammaturghi irlandesi delle ultime generazioni, spesso centrati sui problemi dell’identità e della cultura irlandese, il punto di vista di Enda Walsh, partendo da un concreto radicamento, è diretto sull’uomo, sulle sue strutture fondamentali. Beckett scelse Parigi, una città e una lingua non sua per guardare di lontano il suo mondo e oltre il suo  mondo.

 

Penelope
cast cast & credits
 



 
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