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No alarms and no surprises

di Fabiana Campanella
  Le scarpe
Data di pubblicazione su web 22/09/2010  

“Le scarpe sono infinite, come i tipi umani: mocassini, triste; col tacco, appariscente; da ginnastica, sportivo; decolleté, classico…” Di sicuro, però, tutti si vergognano a far sapere che gli si riparano le scarpe: quelle vecchie dunque saranno riconsegnate in sfiocchettate confezioni, come nuove.

Il paradosso di un business calzaturiero risolleva le sorti economiche di quel che resta di una famiglia: due fratelli all’incirca trentenni, Vittorio (Continelli) dalle belle speranze e Michele (Sinisi) in sedia a rotelle; l’eredità della mamma scomparsa, che ha lasciato scatole vuote e un pappagallo malato, ripetutamente calato in scena per cantare il suo ritornello di lamenti; Rosi (Paola Fresa), fidanzata del primo fratello ma complice del secondo in faccende oscure, che le causano lividi e ferite. Si aggiungono al gruppo la stralunata Anna dalle calze gialle (Alice Bachi), “penfriend” di Michele, fidanzata per corrispondenza e ignara del suo handicap, e il convulso Antonio (Sergio Raimondi), che ha conosciuto Rosi nella veste incognita di prostituta, e ora la perseguita, forse per amore, per ossessione, o per solitudine.

 



Lo scenario misero e ingarbugliato de Le Scarpe nasce dall’arguta penna del pugliese Michele Santeramo, che nel 2001 ha fondato la compagnia del Teatro Minimo di Andria insieme all’attore Michele Sinisi, con il quale ha condiviso il successo di “Sequestro all’italiana” lo scorso anno, e la battaglia per un teatro nella nuova provincia di Andria, 100.000 abitanti a nord di Bari, nel cui centro campeggia solo un vecchio cinema e il tendone effimero, ma già quattordicenne, del Festival Internazionale Castel dei Mondi.

Lo sfondo ligneo della casa/bottega, piena di porte e di tranelli, disegna con efficacia l’intricarsi di una tragicommedia degli equivoci, con sprazzi di comicità, che non predominano sul tono amaro dei dialoghi. Gli scambi di persona, i malintesi, i segreti inconfessabili ma già noti almeno a uno degli altri personaggi, delineano la vicenda con qualche momento di lentezza, che lascia spazio all’eccezionale bravura degli interpreti. Chiusi nel tormento di una finzione su più fronti e più bugie, si muovono tentando di ricucire l’esistente, e limitare i danni. Se ognuno ha il suo segreto, il punto è quando, come, chi confessa a chi, e soprattutto se dopo la confessione il segreto si dimentica, o se la rivelazione peggiorerà una situazione già in equilibrio precario. Con grande rassegnazione, gli autori raccontano che niente è importante, niente può sconvolgere l’equilibrio di relazioni vissute al ribasso: si crede solo quello che conviene, per paura di affrontare un cambiamento, probabilmente in peggio. Ecco il paradosso delle scarpe: se vecchie si riparano, e fuori sembrano nuove. La tensione della verità non scioglie i nodi, ma solo i sentimenti: “Devo andarmene per stare di nuovo da sola? L’amore non esiste, bisogna accontentarsi…”.

 


 

La distensione al compromesso nei vari personaggi oscilla tra il surreale e l’iperrealista, con incerta coerenza registica: se la convincente Rosi si strugge di lacrime e strazi per non aver suscitato alcuna rivoluzione emotiva con la sua drammatica rivelazione, Anna è raggelante e straniante nell’accettazione di una vita vuota di passione. Antonio infine, rimasto fuori dal gioco delle coppie, è l’unico a denunciare, occhi al vuoto, in un’arringa violenta e surreale, fino alla soluzione estrema di un colpo in testa: Voi fate finta, e voi farete il mondo. “No alarms and no surprises”, cantano i Radiohead nell’unica canzone dall’inizio dello spettacolo, dolcissima nenia dell’alienazione. Lo sguardo angosciato resta sugli occhi degli attori anche durante i molti applausi del pubblico del Festival di Andria. L’unico che riesce a sorridere è quello morto.

 

 



Le scarpe
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