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Il “massacro totale”

di Luigi Nepi
  Jusan-nin no shikaku (13 assassins)
Data di pubblicazione su web 10/09/2010  

Uno degli indiscussi protagonisti della  passata edizione della Mostra del cinema di Venezia è stato il regista giapponese Takashi Miike, che era presente al Lido con ben tre pellicole: i due Zebraman fuori concorso e 13 Assassins nella rassegna principale, un film, quest'ultimo, che, a distanza di quasi un anno, ha finalmente trovato una distribuzione anche in Italia. Tutta questa abbondanza non deve stupire perché Takashi Miike è un bulimico di cinema. Assorbe e, soprattutto, produce un’incredibile mole di film: la sua filmografia comprende quasi ottanta titoli in meno di venti anni di carriera. Questa sua incredibile produzione ne fa un caso unico nel panorama cinematografico mondiale, non c’è genere che lui non abbia praticato, smontato, contaminato, riscritto, serializzato, parodiato ed anche auto-parodiato, ed è davvero un peccato che in Italia sia conosciuto solo come autore horror-gore di film quali The Call o Audition, perché Miike è, sicuramente, uno dei più coraggiosi sperimentatori ed innovatori del linguaggio cinematografico oggi in circolazione ed ogni sua opera ne è un’ulteriore conferma.

 


 

Thirteen Assassins è un film Jidai Geki, ovvero un film di samurai nell’accezione più classica di questo genere, ed è anche il remake di un’omonima pellicola girata da Eiichi Kudo nel 1963. Il film inizia con l’harakiri del nobile Mamiya, che non vuole prestare i suoi servigi al crudele principe Naritsugu, che sta per diventare consigliere dello shogun ed estendere così il suo comando su tutta la regione. Un altro nobile, Doi, ritiene invece che sia più giusto impedire che avvenga questa nomina e si rivolge all’esperto samurai Shinzaemon, perché fermi Naritsugu prima che questi arrivi dallo shogun; viene così costituita una squadra di dodici elementi tra samurai e ronin (ai quali si aggiungerà un dissacratorio e stravagante cacciatore) che dovrebbe contrastare i settanta uomini del principe comandati dall’altrettanto esperto Hanabei. Shinzaemon pianifica un’imboscata in un piccolo villaggio immerso nelle montagne, ma Hanabei capisce quanto sta accadendo e si ferma nella foresta in attesa che arrivino dei rinforzi. Quando si arriverà allo scontro saranno più di duecento le guardie del principe contro la piccola squadra di Shinzaemon e la battaglia sarà epica.

 

Miike lascia da parte le sue fughe in avanti nella ridefinizione dello spazio filmico presenti in Yatterman, per stupire lo spettatore con un film dall’impianto solo apparentemente classico perché, come insegnano i suoi samurai, è proprio dall’osservanza delle regole che nasce il conflitto. Il film è praticamente diviso in tre parti, strutturate come un crescendo musicale: la formazione e l’addestramento della squadra, la preparazione del campo di battaglia e il combattimento finale.

 


 

Quasi tutti gli attori principali si muovono e recitano come se fossero in un film di Kurosawa, ed è intorno a loro che Miike costruisce la sua opera di appropriazione del genere, inserendo immagini scioccanti che rappresentano un vero e proprio colpo di defibrillatore per la storia. C’è il gore della donna che il principe ha ridotto a giocattolo tagliandole braccia, piedi e lingua e che, sanguinando lacrime, scrive con la bocca la frase «massacro totale» (rispondendo a Shinzaemon che le aveva chiesto quale fosse stato il destino del suo villaggio); c’è l’horror della testa mozzata dal principe al marito della donna appena violentata; c’è il western dei cavalli e delle verdi ed incontaminate “Monument Valley” giapponesi; c’è immancabilmente l’ironia, soprattutto nel personaggio stravagante del cacciatore o nelle trappole che digitalmente mette in campo, come la liberazione di una mandria di tori infuocati contro le truppe del principe.

 

Miike ridefinisce dall’interno i canoni di questo genere filmico, in modo decisamente più potente della caratterizzazione personale che ne aveva fatto Takeshi Kitano con il già bellissimo Zatoichi e soprattutto non mancando di mettere in ridicolo l’assurda sottomissione acritica alle “regole d’onore”, che troppo spesso sono solo funzionali ad un potere folle e crudele come quello del principe Naritsugu, verso il quale Shinzaemon arriva ad augurarsi una rivolta dei «servi contro i loro padroni». In fondo, ciò che pensa Miike lo fa esprimere al suo vero alter ego nel film, quello spirito libero del cacciatore, che, mentre lotta a colpi di fionda in mezzo ad una guerra di spade, trova il modo di dire: «Voi samurai siete inutili ed ancora più inutili in massa».

 


 

Ma Miike Takashi è soprattutto un grande regista di scene d’azione. L’interminabile combattimento finale diventa una danza assoluta di corpi, di frecce, di spade, di trappole, di esplosioni che la macchina da presa ed il montaggio assecondano in modo visivamente magistrale, arrivando al duello finale dove i due vecchi compagni d’arme Shinzaemon e Hanabei regolano definitivamente i conti di una vita di sfide e rivalità a tutti i livelli. Un onore, quello del duello, che non è concesso al principe Naritsugu, rapidamente ridotto ad una maschera espressionista di sangue, fango e paura. I corpi e le chiazze di sangue delle centinaia di guerrieri morti, sparsi per il villaggio, assumono una forte plasticità pittorica, tanto che sulla strada principale sembrano ricomporre quegli stessi ideogrammi insanguinati scritti con la bocca dalla donna giocattolo: è la trasposizione fisica del “massacro totale”.

 

Thirteen Assassins è sicuramente uno dei più bei film visti lo scorso anno a Venezia ed una delle opere più interessanti degli ultimi tempi; infatti sarebbe stato davvero un peccato se, al pari di molte altre pellicole di Miike, non avesse trovato la via delle sale, anche perché, per capire i “mondi possibili” del cinema di oggi e di domani è necessario conoscere questo eclettico, frenetico, pazzo, grande regista giapponese, l’unico che lotta con la fionda in mezzo ad una guerra di spade.

 

Jusan-nin no shikaku
cast cast & credits
 






 
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