Alex de La Iglesia, spagnolo, anzi basco, è tra gli enfants prodiges della new wave post Almodovariana (il maestro ha anche prodotto uno dei suoi film di inizio carriera) e ama il cinema alla follia. E naturalmente ama, sperando di esserne riamato, il pubblico. Poiché lamore è dismisura, mancanza di regole, emozione e ripetizione, droga e astinenza, meglio essere generosi, darsi completamente, metterci tutto ciò che si sa e si ha, prima di essere svuotati. E poiché lamore è anche rimembranza meglio metterci tutti i ricordi, e poiché lamore di chi ama il cinema è cinema, meglio mettercelo tutto, il cinema, tutti i generi possibili, tutte le citazioni, tutti i rinvii, tutti il clins doeil possibili. Per non essere travolti è però bene far finta di non crederci e fingere che questo amore sia un gioco.
Ed eccoci arrivati a questa Ballata dell'odio e dell'amore, il cui titolo originale, Balada triste de trompeta, è mutuato da quello di una canzone italiana suonata e cantata dal dimenticato Nini Rosso e chissà come diventata, di tutta evidenza, nella memoria del regista, simbolo non del tutto incongruo di kitsch, di emozioni primarie, di genere basso. Ciò che prima si chiamava Zibaldone e ora va sotto la nobilitante sigla stilistica di camp ha qui la sua esaltazione. Nonostante una partenza allapparenza emozionante (“vedete che so fare anche questo”) con pagliacci sotto la tenda del circo aggrediti dai falangisti e imprigionati sotto lo sguardo di bambini terrorizzati, ben presto la strada dei sentimenti prende quella post moderna della loro messinscena Tutti gli stili e i generi possibili vengono messi in campo per costruire questo gioco di montagne russe in cui la drammaturgia mescidata del racconto popolare (tra fumetto fotoromanzo, sceneggiata, favola) fa da tessuto connettivo al puro cinema dazione, pulp, splatter, parodico e circense.
Non esiste storia se non il filo sottilissimo della vendetta che il figlio del pagliaccio triste (che è stato trucidato dai falangisti) a sua volta indossati i panni del padre tenta di portare a termine. La narrazione però inciampa in una storia di circo con lamore disperato di questi per la bella trapezista, amata e brutalizzata dal clown allegro, capo del circo. Non conta certo la logica, né la vicenda, in questo esercizio di invenzioni pirotecniche, che di tanto in tanto mescola più seri inserti “storici” tipo lattentato al primo ministro spagnolo ammiraglio Carrero Blanco con un delirio di invenzioni visive e di citazioni; tra queste basti lultima dove, con un certa velleità ideologica ma con bella efficacia visiva la corsa dei due pagliacci rivali e della bella si conclude con un omaggio fin troppo plateale al cinema di Hitchcock, ambientato però in quel mostro dellautoesaltazione franchista che è il monumento eretto nella Valle de los caidos. Insomma di tutto di più, prendere o lasciare.
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