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Tu quoque, Mentana

di Roberto Fedi
  Mentana
Data di pubblicazione su web 05/09/2010  

Al debutto anche noi siamo rimasti colpiti, e positivamente. Il Tg di Mentana, su La7, era diverso. Più semplice, meno paludato, scattante, insomma non imbalsamato come tutti i Tg di regime, del primo, secondo terzo e anche quinto – lasciamo perdere per carità il Tg di Rete 4 e quello di Italia 1, che sanno parlare il primo solo di Berlusconi e il secondo del tempo e di gossip, oltre che di Silvio, si capisce. Si vuol solo qui sottolineare che quando diciamo ‘di regime’ intendiamo non lo stesso regime, bensì regimi diversi ma tutti riconducibili a una trasmissione di notizie fondata sul riferimento politico, di governo o di opposizione. Che in un Paese democratico sia possibile questa stortura è storia vecchia, che risale all’origine della Rai e alla divisione partitica delle tre reti, ma che ormai appare veramente trogloditica.

 

Avevamo chiuso la serie dei nostri interventi prima dell’estate con i Tg e l’emorragia degli ascolti, e avevamo detto che era esattamente quello che si meritavano scatole preconfezionate e dalle pareti di cemento armato come, appunto, i suddetti Tg. Da chiedersi come fanno i cittadini di questo Paese a starsene lì, la sera, a sorbirsi mezz’ore di ministri, segretari di partito, dichiarazioni di sconosciuti con il nome in sottopancia, presidenti e altri mangiapane a tradimento (si diceva una volta), come se fossero le tavole della legge – che, per altro, magicamente cambiano a ogni Tg, per ricominciare con altre e via così recitando.

 

Per questo, quando si è visto l’arzillo Mentana aprire l’altro giorno il suo Tg non con la politica e il politichese, ma con la tremenda notizia della scazzottata nel Policlinico di Messina di due medici, mentre una disgraziata signora aspettava il cesareo, siamo rimasti colpiti. E ancora di più quando nel corso del Tg il Mentana si è collegato con il marito della signora, persona ammodo ed educata, ma personalmente e civilmente inorridita come ognuno può aspettarsi. Bravo, abbiamo detto. E poi era tutto quasi perfetto: lo studio, semplice e quasi spartano (come dire che qui le protagoniste sono le notizie, e non gli architetti), il conduttore, che come suo solito non legge ed è spontaneo e ‘vicino’ alla notizia, qualche sobrio commento dello stesso, mai ingessato nell’ufficialità sovietica degli altri Tg, la ‘scaletta’, che finalmente ripropone le notizie in una serie di importanza, e così via. Nessuna apertura sul tempo o sul caldo, insomma, come ahimè ci capita di vedere spesso; nessun ‘servizio’ dove si interroga gente per strada che dice ‘sì’ o ‘no’ e stop (“è caldo?” “sì”: demenzialità di questo tipo, insomma).

 

Ci è sembrata una boccata d’aria. Si vede, ci siamo detti, che a volte la scarsezza dei mezzi aguzza l’ingegno. Così anche altre sere abbiamo acceso il televisore su La7, alle otto meno cinque circa perché ormai – malcostume italico – ogni Tg fa a gara a cominciare prima, per ‘agganciare’ lo spettatore fregando gli altri. Prima o poi i Tg delle otto cominceranno alle sette, ma insomma.

 

Beh, lo diciamo un po’ tristemente. La nostra soddisfazione si è andata spengendo come lo spumante quando lo lasciate lì per qualche giorno. Così, ieri, 4 settembre, abbiamo toccato il top della riconversione al politichese. Il Tg mentanesco si è aperto, lui presente, alle otto meno cinque. Che ci crediate o no, fino alle 8 e venticinque, quindi per mezz’ora, si è parlato di notizie-non notizie, insomma del solito pastone politichese: Fini, Berlusconi, Bossi, lo strappo di Fini, ma forse non è uno strappo, è uno strappino, e Silvio che farà?, e si voterà? no, sì, forse no, in collegamento con l’onnipresente Bocchino che non ha detto nulla ma nulla che è nulla, e via così. Per mezz’ora abbondante. E poi, sullo sfondo, il prossimo Discorso Di Mirabello di Fini, che La7 avrebbe seguito (Mentana l’avrà ripetuto dieci volte) in diretta, addirittura, neanche fosse il discorso Della Montagna di Gesù Cristo. E, in studio, una signorina romanesca, ex An, che abbiamo scoperto essere addirittura ministra della Gioventù (!), e che ha parlato con toni accorati del suo problema umano dopo lo strappino di Fini. Roba da telegiornale di paese.

 

E le notizie? Dopo la pubblicità, alle otto e mezzo. Peggio di un Tg tradizionale, con l’aggravante, ahimè, che se uno fa un Tg tradizionale con due lire, si vede. Eccome, se si vede. La povertà è un bene solo quando viene supplita con l’intelligenza e la novità. Allora diviene un di più, un modo obbligato per liberare le risorse umane, in mancanza di quelle finanziarie. Altrimenti, è il vuoto, e tutto è un po’ triste, nonostante i sorrisi di Mentana.

 

A noi, lo diciamo a chiare lettere, del discorso di Mirabello di Fini ci interessa come del sesso degli angeli. Niente. Agli italiani, a parte quelli che vivono di politica, crediamo ancora meno. È il solito teatrino stucchevole, indigesto, stupido. E siamo pronti a scommettere lo stipendio che non si voterà. Figuriamoci se decine di scalzacani rischiano lo stipendio lauto del Parlamento per i giramenti di palle di qualche politicone di carriera.

 

E allora? Allora, e ci dispiace dirlo, il Tg de La7 almeno ieri era quello che è sembrato, e che avevamo temuto.

 

Un Tg da poveretti.

 




 
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