Ovsyanki è il nome russo di un uccellino simile al passero americano, uccellino piccolo e insignificante, metafora di quegli inespressivi ed insignificanti esemplari delletnia ugro-finnica dei Merya incapsulati nella grande famiglia russa alla metà del XVII secolo ai quali si dedica con amorosa discrezione il regista Aleksei Fedorchenko. A metà strada tra la fiction e il documentario antropologico, il film fa parte di unaccurata ricerca dedicata alle etnie scomparse nellimmenso territorio russo. Collocati in una zona della Russia centro occidentale i Merya sono silenziosi e quasi indistinguibili dal resto della popolazione con cui condividono le fatiche di una vita poco gratificante ma conservano la memoria dei riti ancestrali e soprattutto di quelli fondamentali legati al ciclo della vita, e quindi allamore, e a quello della morte, e quindi dellabbandono. Ed è per questo che in un giorno apparentemente qualunque Aist che vive una vita grigia di lavoro e solitudine (addolcita solo dal canto di due piccoli zigoli in gabbia) viene chiamato dal suo capo che lo coinvolge in un compito intimo e delicatissimo: la moglie, ladorata bella e giovane Tanya è morta e lui vuole seppellirla con gli antichi riti della tradizione (la tradizione di una popolazione che non ha dèi perché tutto scorre nel fluire della natura) e per questo ha bisogno di un compagno.
Da questa sorta di antefatto di cui il giovane è la voce narrante parte la visione in presa diretta, le parole sono poche il rito eseguito con i lenti e precisi dettami secolari. Il corpo nudo viene lavato, i capelli spazzolati, lungamente, ogni gesto è un atto di amore e di possesso, e non consente deleghe. Ed è forse questa fisicità, questa appropriazione anche materiale degli strumenti del rito ad impressionare di più noi spettatori di una civiltà che ormai procede per deleghe, cioè per fughe (dallospedale, alla scuola, alle pompe funebri). Si pensi invece allindugio amoroso nel detergere il corpo, alla precisione nella scelta dei materiali per la pira e alla precisione nella costruzione del rogo sul quale la defunta brucerà, si pensi alla puntigliosa raccolta delle ceneri, ai gesti imperiosi di esclusione del compagno, pur chiamato ad accompagnare il vedovo che lo usa come testimone di una dichiarazione damore continua e, finalmente, esplicita e perturbante. Mentre il viaggio dei due uomini prosegue alla ricerca del luogo in cui concludere la cerimonia il giovane io narrante rivela come lesclusione nella celebrazione del rito funebre non fosse del tutto corrispondente ad un esclusività di godimento in vita. Ma si tratta di un dettaglio individuale, mentre la natura, bellissima e placida non viene minimamente turbata dalle piccole avventure degli uomini.
Splendidamemte filmato da Mikhail Krichman (ma quale opera russa è mai stata sciatta da un punto di vista formale?) il film ha un andamento non certo travolgente, la sua forza è anzi proprio nella lentezza, nellironia sottile, nellaffettuosità di una ricerca che non si fa mai rivendicazione.
|
|