Il bel film-documentario di Giancarlo Scarchilli si fonda, come tutti i ritratti del genere, sul patto fiduciario tra autore e spettatore, o meglio su un dato accettato come indiscutibile: Gassman era un grandissimo attore e di questo non si discute. Era un mattatore, il mattatore. Accettato questo assioma senza il quale il lavoro non avrebbe senso (che ce ne potrebbe importare della vita, degli amori, delle idee, dei relax in piscina di un signor nessuno e delle interviste ai suoi molti ed attempatissimi amici?), il viaggio nella biografia artistica e umana diventa piacevole e istruttivo per il garbo e laffetto con cui è condotto, per la ricchezza veramente apprezzabile delle immagini di repertorio e per la didattica (e intendiamo qui il termine in maniera positiva) nitida in cui sono divisi i temi trattati.
Le immagini darchivio sono naturalmente la parte più interessante, tra laltro lunica che possa in qualche modo rendere valutabile e non solo decantato lo straordinario talento dellattore, sia nelle celebri prove teatrali (lAmleto della giovinezza, Otello con scambio di ruoli con Salvo Randone, il teatro popolare col mastodontico tendone, lultima faraonica prova del Moby Dick etc.) sia nei lacerti delle più accessibili prove cinematografiche che lo videro protagonista di alcune delle grandi tappe della civiltà cinematografica italiana del dopoguerra e del boom economico (La grande guerra, I soliti ignoti, Il sorpasso, Profumo di donna, etc), film tra laltro che lo liberarono dalle catene della dimensione tragica in cui lui stesso si era stretto nella titanica (meglio, alfieriana, lotta) per modificare la propria voce, inadeguata al talento e per renderla una delle più famose e inconfondibili del nostro teatro.
Accettato il postulato della sua grandezza risulta allora assai felice la scelta del figlio Alessandro, pure lui attore ben lontano dai fasti paterni ma assai incline allamor filiale, come guida nel cammino espositivo. E soprattutto, risulta assai piacevole, perché sorprendente rispetto alla fama sprezzante dei giorni gloriosi, il ridimensionamento umano che lattore ormai vecchio compie, certo con lintenzione di contribuire al proprio monumento ma con alcune pennellate chiaroscurali che molto gli giovano: come le dichiarazioni di invidia nei confronti dellimmenso talento naturale del collega Randone (siamo daccordo con lui) o lammissione dei propri limiti vocali. Molto più autentico e simpatico dei suoi compagni di avventure (che non hanno certo colpe della loro decrepitezza ma che certo non si rendono un gran servizio) Gassman ci dà una grande lezione finale, quando confessa che mai avrebbe voluto fare lattore, essendo timido e introverso. All'Accademia d'arte drammatica lo iscrisse di imperio la madre, allontanandolo forse da uninclinazione di scrittura. Il film ci insegna quindi che è bene obbedire alla mamma.
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