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Innocenza perduta

di Marco Luceri
  L'amore buio
Data di pubblicazione su web 02/09/2010  

Bisognava aspettare Antonio Capuano, “vecchio” leone del cinema napoletano per scuoterci dal torpore di due giorni piuttosto giù di tono qui al Lido. E’ arrivato, Capuano, portandosi dietro la sua Napoli, il suo cinema fisico fatto di violenza e sentimenti, epica e sguardi, i suoi attori intensi nel parlare con i corpi e nel muoversi con le parole, le sue storie laceranti che mettono insieme l’alto e il basso, il cielo e la monnezza.

Che cos’è sennò la storia di Ciro e Irene, due ragazzini nati e vissuti nella stessa città eppure appartenenti loro malgrado a due universi che più lontano non si può, se non l’ennesimo tentativo di tessere una storia d’amore impossibile nel Sud terra dell’impossibile sempre e comunque? Ciro la bestia, che a quindici anni e mezzo stupra con il branco la bella Irene, finendo in un carcere minorile, lontano da tutto e da tutti, separato dal suo mondo da sbarre alte e impenetrabili varcate solo dai versi e dalle parole scritte confusamente e per caso e indirizzate proprio a lei, Irene. La giovane ragazza che ha tutta la vita davanti, con le sue piccole grandi prove, ma circondata da adulti nevrotici, fidanzati stupidi e soprattutto da tanta, inutile ricchezza, si rifugia nel teatro per riaccettare il suo corpo e la sua anima. E forse li trova, tutti e due, o arriva a sfiorarli. 

Ecco allora che i due mondi, nella stessa immensa, squallida, bellissima metropoli ai piedi del Vesuvio che li abbraccia respingendoli, si toccano da lontano: sono una fuga nelle acque del mare o per i sentieri della campagna, oppure una passeggiata sotto la pioggia per vedere per la prima volta vicoli, pareti, anfratti, chiese, dipinti barocchi. E’ così che le due Napoli si toccano e scoprono di vivere sotto lo stesso cielo, è così che Ciro alla fine può chiedere, con lo sguardo dritto alla macchina da presa, sotto il ritmo di un rap rabbioso, «perché il teatro, la musica, il calcetto, la ceramica, ecc. non ce li avete dati prima, quando eravamo fuori dalla galera?».

E poi, anche se il tempo passa e forse il carcere vero sta fuori, basta la durezza e la dolcezza di uno sguardo finale (splendido ideale controcampo al montaggio di corpi bagnati e fluttuanti che apre il film) potentissimo nella sua innocenza perduta a rimettere insieme i cocci di un’esistenza che si è accettata ormai come impossibile, come sognata. Proprio simile alle parole scritte che nessuna voce over legge e che restano il segreto sigillo dell’odio e dell’amore di questi due splendidi personaggi napoletani. Italiani.

 

L'amore buio
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