Quando uno spettacolo taglia il traguardo della centesima rappresentazione un motivo cè. E la Martha di Flotow che dal 1996 va in scena a Monaco al teatro di Gärtnerplatz (lequivalente, per la capitale bavarese, della Komische Oper a Berlino: un palcoscenico destinato in primo luogo alle opere tedesche più nazionalpopolari o, in subordine, a titoli del repertorio italiano e francese rigorosamente tradotti nellidioma di Goethe) può andare a braccetto con i nostri più immarcescibili allestimenti, dalla Bohème di Zeffirelli a certi Mozart strehleriani ancora disinvoltamente ripresi post mortem. Un teatro familiare, quello di Gärtnerplatz, per il tipo di pubblico come per la complicità che sinstaura, al semplice prender possesso del proprio posto, tra vicini di poltrona: i cartelloni della Bayerische Staatsoper e della Münchner Philharmonie – che possono contare su due direttori del calibro di Nagano e Thielemann – saranno unaltra cosa, ma in Italia ci sarebbe bisogno di stagioni così, allinsegna di unaurea normalità anziché dellevento annunciato e, spesso, disatteso.
Una scena (foto di Lioba Schöneck)
Lunica difficoltà, per litaliano in trasferta, è calarsi in questatmosfera antropologico-musicale: ma non si tratta dun problema di ardua soluzione, come sempre accade quando a far da esperanto cè il linguaggio dellarte. È possibile che al nostro pubblico non dica nulla il nome di Loriot (al secolo Bernhard von Bülow), alla cui popolarità in Germania si deve probabilmente il traguardo della recita numero cento, che è poi quella di cui la recensione dà conto: uno di quegli uomini di spettacolo tanto amati in patria quanto misconosciuti allestero. Sta di fatto che per gli spettatori tedeschi lottantaseienne Loriot svolge, dagli anni Cinquanta, una funzione di urticante analizzatore, o bonario fustigatore, della borghesia germanica e rappresenta un artista completo altalenante tra recitazione e regia, scenografia, cartone animato e fumetto (il suo segno grafico è spiritosissimo e inconfondibile), teatro, cinema e televisione, passando per una letteratura solo dapparente intrattenimento. E se è vero che la regia dopera ha dei desiderata così peculiari che anche un simile concentrato di talenti potrebbe risultare inadeguato, la Martha è una commistione di grazia, ironia e garbata satira sociale – inglese nel soggetto, ma certo tedesca nel modo in cui questa Romantisch-Komische Oper si articola – che sembra scritta apposta per Loriot.
Una scena (foto di Lioba Schöneck)
La sparizione dai cartelloni dei grandi tedeschi del capolavoro di Flotow (oltre che dei grandi classici dellopera buffa di Lortzing, Nicolai, Cornelius), e il conseguente delegare questi titoli ai palcoscenici “popolari”, rappresenta un limite della produzione culturale in Germania: fa il paio con latteggiamento dei teatri italiani dinizio Novecento, quando ci volle il coraggio di Toscanini – complice la presenza di Enrico Caruso – per imporre un Elisir damore alla Scala. Il nome di Caruso daltronde ci riporta alla Martha, o meglio Marta, senza acca e in italiano, perché se questopera è stata popolarissima anche da noi – almeno fino al secondo dopoguerra – lo si deve allintermediazione carusiana prima, a quella di Gigli e Tagliavini poi. Il Mapparì tuttamor inciso da Caruso (infedele ma musicalissima traduzione dellAch! So fromm del libretto di Wilhelm Friedrich) resta uno dei suoi più storici cimeli discografici, al pari di Ridi, Pagliaccio: sicché il grammofono che Loriot pone sul boccascena durante il quadro conclusivo, e che a sipario calato resta idealmente a ricevere gli applausi del pubblico, si può leggere come un omaggio al grande tenore italiano e alla storia interpretativa di questopera.
Una scena (foto di Lioba Schöneck)
Daltronde tutta la messinscena, che ricostruisce la Richmond del libretto con un calligrafismo non privo di tocchi surreali, è allinsegna della strizzata docchio tra amici, della piccola notazione squisita: il cornista che oltrepassa il sipario durante la sinfonia per attaccare il suo assolo e viene portato via, come un qualsiasi accattone ambulante, da un poliziotto inglese che attraverserà tutta lopera quale muto e pasticcione tutore dellordine; il tormentone della Regina Vittoria (Loriot sposta in età vittoriana il diciottesimo secolo della regina Anna), pupazzo che cala dallalto e gigantesca mano che manovra i protagonisti ridotti a marionetta; Wagner – con tanto di basco della più tipica iconografia – messo tra gli avventori dellosteria e silente, compiaciuto testimone della grande aria del tenore, salvo allontanarsi disgustato quando, nominato Tristan, al posto delleroico protagonista della sua opera vedrà comparire lomonimo maturo damerino che rappresenta il più ridicolo dei personaggi dellopera di Flotow. In perfetta simbiosi dintenti col regista, anche il direttore Henrik Nánási si presta al “gioco” wagneriano, facendo risuonare in orchestra un Tristan-Akkord quando lo svillaneggiato Lord Tristan viene nominato per la prima volta: i puristi inorridiranno nel vedere una partitura ridotta a canovaccio, ma lo scherzo – se così vogliamo chiamarlo – è appena accennato e tuttaltro che di cattivo gusto, sottolineando il retroterra vagamente operettistico, e il gioco improvvisatorio che ne rappresenta il corollario, della Martha.
Per il resto una direzione attenta a sottolineare le reminiscenze italianizzanti (soprattutto rossiniane) della musica di Flotow, supportata con sicurezza dallorchestra del teatro anche se, forse, non sempre a piombo negli attacchi del coro. Cast di ottimi cantanti-attori, non tutti freschissimi: il Lyonel di Wolfgang Schwaninger è ottimo finché deve muoversi nei binari della commedia; quando il ruolo salpa verso i lidi della grande tenorilità, sentimentale nellaccento ed espansa nel canto (insomma, la grande aria “carusiana”), qualche limite di tenuta si avverte. Sandra Moon è una protagonista spigliata, che riesce a convertire in simpatia i capricci di Martha, personaggio viziato e, tutto sommato, poco gradevole: qualche ripresa di fiato arbitraria – che talvolta si traduce in imprecisioni ritmiche – anche qui tuttavia fa intuire una forma vocale ragguardevole, ma non più smagliante. Poco volume, unito però a un colore autenticamente mezzosopranile, caratterizzano la Nancy matura e velatamente sensuale di Rita Kapfhammer. Timbro ingrato ma robusta proiezione, al contrario, accompagnano la vocalità del simpatico baritono Holger Ohlmann; mentre Martin Hausberg è un basso comico leggero, in punta di forchetta, che pennella con eleganza caricaturale miserie e facezie di Lord Tristan.
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