Mentre proseguono inesauste notizie di traslazioni, ritrovamenti, parties e festeggiamenti caravaggeschi è in corso a Firenze una mostra che di occasionale ha solo la coincidenza cronologica con i festeggiamenti per il quarto centenario della morte dellillustrissimo e incessantemente intrigante pittore. Caravaggio e i caravaggeschi a Firenze infatti coincide con i molti festeggiamenti ma soprattutto risponde ad una logica non occasionale e celebrativa bensì alla esposizione di un patrimonio in cui la bellezza oggettiva dei pezzi esibiti è contemporaneamente risultato documentato di un percorso culturale.
Caravaggio, Sacrificio di Isacco, Firenze, Galleria degli Uffizi
In questo senso ben vengano le “occasioni”. Come quella di quarantanni fa, quando unanaloga ricorrenza biografica (allora si trattava di celebrare la nascita) permise ad Evelina Borea e ai suoi collaboratori di rilanciare la questione in termini nuovi e fecondi. Lincessante lavoro di questo quarantennio è stato illuminato da numerosissimi studi tra cui quelli esemplari di Mina Gregori (come non ricordare la mostra sulla pittura fiorentina del Seicento del 1986?) e di Giuseppe Cantelli (con il catalogo dedicato al repertorio della pittura fiorentina nel 1983), fino ai recentissimi studi di Baldassarri e Bellesi che hanno illustrato il pluralismo espressivo della fase fiorentina posta tra la grande fase cinquecentesca e lattesa di Pietro da Cortona. La mostra non si pone dunque solo come un omaggio al grande Merisi (di cui Firenze non a caso vanta il più ricco deposito patrimoniale dopo quello romano) ma ha lambizione di illuminare “la faccia caravaggesca della pittura a Firenze” (Cristina Acidini nella presentazione del ricchissimo catalogo che si pone, come in ogni serio lavoro allestitorio, a permanente sigillo del lavoro di ricerca).
Bartolomeo Cavarozzi, San Gerolamo con due angeli,
Firenze, Galleria Palatina
Se restano infatti sempre stupefacenti i risultati delle opere di sicura mano del pittore non meno interessante risulta essere la fitta trama di suggerimenti, derivazioni, affinità, intessuta dal coro di accompagnamento. Certo nulla perdono della loro forza, nonostante leccesso di frequenza riproduttiva, i celeberrimi Bacco, Testa di Medusa, Sacrificio di Isacco, Amore dormiente, Il cavadenti, né sono di qualità inferiore i meno usurati ritratti di Maffeo Barberini e quello di recente identificato forse come ritratto del cardinal Giustiniani. Al confine tra la certezza assoluta della autografia e laltezza qualitativa di ispiratori ed epigoni si pone il Ritratto di cavaliere di Malta (attribuito al Merisi dallautorevolezza della Gregori ma non unanimemente riconosciuto) la cui forza emotiva parrebbe non lasciar dubbi al profano. Che però comprende le incertezze attributive degli esperti quando lo confronta con le limitrofe prove di alcuni caravaggeschi: Artemisia Gentileschi, Gerrit Honthorst (Gerardo delle notti, di cui viene opportunamente esposta anche la tela massacrata dallesplosione agli Uffizi del 1993), Jusepe de Ribera, Orazio Riminaldi, Francesco Rustici, Giovanni Antonio Galli, Simon Vouet, etc. Le opere di questi e le ormai ben indagate testimonianze della ricezione fiorentina espressa nelle opere di Andrea Boscoli, Andrea Commodi, Cesare Dandini, Anastagio Fontebuoni, Giusto Suttermans, Filippo Tarchiani, Jacopo Vignali non si possono certo considerare opere di accompagnamento.
Caravaggio, Il Cavadenti
Il cammino espositivo che si snoda sontuosamente tra le due suggestive sedi espositive della Galleria Palatina e della Galleria degli Uffizi, dovrebbe acquisire alla coscienza comune del visitatore, insieme alla conferma della grandezza del Merisi, anche la pervasività della sua influenza presso gli artisti fiorentini, familiarizzandolo con i nomi meno noti, ma soprattutto riportandolo ancora una volta alla dialettica fiorentina tra forestiero e locale, tra innovazione e conservazione, tra sperimentazione e certezza di cui parla Cristina Acidini, illustrando la spinta propulsiva della corte granducale nellacquisizione caravaggesca ma anche, insieme alle molte influenze accertate negli artisti fiorentini, quella “resistenza” che impedì nel primo Seicento una via alternativa alla policentricità pittura fiorentina, balenata dinanzi agli occhi dei committenti e degli esecutori e poi lasciata scorrere via.
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