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Quell’odore di cavolo che veniva dalla radio

di Italo Moscati
  Alto gradimento
Data di pubblicazione su web 21/07/2010  

Ero tra i molti ascoltatori di Alto Gradimento, la trasmissione di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, autori e conduttori, che il 7 luglio hanno festeggiato (e sono, beati loro, festeggiatissimi da tutti) i quarant’anni di quello che diventò fra cavi e onde sonore un piccolo o grande miracolo italiano. Miracolo di successo, nonostante le obiezioni dei soliti sdegnosi nemici delle novità, soprattutto fra i giovani a caccia di gusti e sapori nuovi nella vecchia cara Rai d’antan. Ero tra quei giovani. Più che gusti e sapori scoprii odori forti e penetranti: l’odore di cavolo caldo di cui uno degli amici e collaboratori del programma, architetto e poi artista prima della radio e poi della tv, Mario Marenco, parlava di continuo, introducendosi nelle sciocche e magiche chiacchiere della coppia Arbore - Boncompagni & C. (come non ricordare il matto saggio scurrile Giorgio Bracardi?).

Le mie narici, situate nelle orecchie, avvertivano che quell’odore si sentiva anche se proveniva da un lontano paese dell’est europeo da cui il comico archistar Marenco mandava le sue corrispondenze-facezie, capolavori del nulla. Era uno degli ingressi in un gioco demenziale, calcolatissimo, che andava al di là della sua efficacia immediata, e della sua contrapposizione all’andamento delle cose. Sia nella beneamata Rai, colma di carabinieri della comunicazione; e sia nel paese in quegli anni - inizio anni Settanta (1970-1976) - in cui al rumore misto tra festosità e botte della contestazione giovanile e studentesca si mescolavano altri rumori che accompagnavano una strana alba di generosità generazionali, faziosità politiche, repressione, terrore. Quell’odore lo sento ancora. Era pungente. Arbore e Boncompagni scherzavano, giocavano con le battute e con parole spesso sintetizzate in monosillabi e sospiri di parole abortite, insomma cazzeggiavano, come già si cominciava a dire allora. Poi il cazzeggio diventò, e diventerà fino ai giorni nostri valanga continua. Anni dopo possiamo dire che la valanga ha vinto in radio ma soprattutto nelle televisioni, pubbliche o commerciali che siano.

Alto Gradimento era a un livello di “alto cazzeggio” nel senso che nelle sue rubriche, nelle sue trovate”, puntava al “gradimento” alzando il tasso di istrionismo naturale della coppia degli autori- conduttori, circondati da una corte di collaboratori, una corte dei miracoli piccoli e grandi che finiranno, insieme ad altri, nei programmi della televisione tipo L’altra domenica o, meglio ancora, Quelli della notte o Avanti tutta. Tutti istrioni, tutti scardinatori delle regole, tutti imbroglioni per partito preso: gente magari laureata, come Arbore o Marenco, ma ubriacati dalle meravigliose cose futili più che inutili come il jazz e il cinema americano che erano entrati in Italia insieme ai marines, i liberatori della nostra penisola. Le enciclopedie raccontano che lo spunto iniziale di Alto Gradimento viene da una pellicola di Henry C. Potter, credo nessuna parentela con il maghetto di tanti film della serie che continua (il maghetto si chiama Harry, non Henry). La pellicola di Henry C. Potter si intitola Helzapoppin, fu realizzata nel 1941. È uno dei pochi esempi, venuti da Hollywood, in cui la storia e i personaggi non contano nulla o quasi, e sono presentati all’interno di un ritmo infernale dove si avvicendano scene o scenette di deliberato cretinismo, al solo scopo di creare divertimento. Del resto, si sa che Hollywood, fin dalle vecchie pellicole del muto, nel cretinismo si rivelava intelligentissima. Intelligentissimi, e spontanei, in presa diretta con caratteristiche e indole personali, erano Arbore-Boncompagni & C. Biglietti di andata e ritorno da Hollywood all’Italia.

Lazzi, frizzi, confusione (apparente) di stile e contenuti che venivano dalla goliardia universitaria, dalla esperienza bellica italiana filtrata attraverso la radio del consenso fascista; dai film di Totò e carovane di comici dialettali prevalentemente del sud; dalle canzoni parodiate dei Festival di Sanremo e delle voci all’antica italiana inzuppate nel jazz o nelle canzoni di Perry Como; dalla caricatura del sussiego e dalla sufficienza del “servizio pubblico” della Rai in circolo fra programmi, annunci, sigle, dizioni pulite di annunciatori già morti davanti ai microfoni; eccetera, eccetera. La trasmissione viveva nello scardinare un vecchio ordine per stabilirne al suo posto, senza protervia, anzi con garbo sgarbato. Un disordine che prometteva bene, nel senso che diventava un efficace sintomo di una crisi generale italiana cominciata dopo i cosiddetti anni del benessere (conclusi con La dolce vita di Federico Fellini) e continuata a lungo, una crisi di disorientamento che ancora continua e agita preoccupazioni dopo aver seminato delusioni verso i partiti, i politici, verso molte di istituzioni incapaci o imbarazzati di fronte ai cambiamenti. Nell’odore radiofonico di cavolo caldo, proveniente da un est comunista finto e reale, soffocato, diviso dal resto del mondo dal muro di Berlino costruito nel 1961, c’era un doppio sentimento profondo. Da un lato, la consapevolezza che non si sapeva più dove guardare per capire e ispirarsi in modelli di società: anche il jazz, tanto amato da Arbore-Boncompagni & C., stava dissolvendosi, e anche il rock, subentrato, non stava tanto bene. Dall’altro, che ci poteva cercare il futuro nel futurismo. Sì, il vecchio futurismo di Filippo Tommaso Marinetti, geniale e insensato, provocatore e ingenuo. Il futurismo ereditato dai comici (Petrolini, Rascel) e dalla sublime stupidità delle canzoni (Papaveri & Papere). Il futurismo riusato nei vecchi studi di Via Asiago, sede della radio, riadattato, reinventato, rigenerato per sempre. La felicità di Alto Gradimento non scaturiva da una formula ma da un atteggiamento di autori e soci per sempre ragazzi, per sempre futuristi per amore e disperazione. In una tv e in una radio senza odori. Spesso con molte puzze. Oggi molto più di ieri.

 

 

 

 

 

 

 

  

 



 


Giorgio Bracardi, Renzo Arbore e Mario Marenco
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Gianni Boncompagni e Renzo Arbore

 



 
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