Alla fine è una disputa teologica il banco di prova per un confronto tra la Betulia liberata di Niccolò Jommelli (1743) e quella del divino fanciullo Wolfgang Amadeus, quindicenne quando, una trentina danni dopo, musicò il medesimo libretto di Metastasio. Il più tedesco dei compositori partenopei (tre lustri alla corte di Stoccarda giovarono a Jommelli uninclinazione verso la complessità strumentale che cercheremmo inutilmente negli altri grandi della Scuola Napoletana) e il più mediterraneo dei compositori austriaci trovano dunque occasione, grazie a Riccardo Muti e al Ravenna Festival, per un confronto diretto. A far da collante, un testo – daltronde intonato anche da molti altri musicisti – che Metastasio reputava il suo lavoro migliore: quasi una nemesi, se si pensa che fu proprio il tardo Jommelli, con la modernità delle sue drammaturgie musicali, a contribuire più dogni altro alla presa di distanza dalle convenzioni metastasiane, e che sarebbe poi toccato al Mozart dellIdomeneo il colpo di spugna in tal senso.
Betulia liberata di Niccolò Jommelli
Più che del soggetto, forse, Metastasio era soddisfatto del modo con cui laveva svolto. La vicenda del Vecchio Testamento narrata nel Libro di Giuditta è allo stesso tempo così carnale e spirituale, allegorica e cruenta, che con la sua icasticità aveva dato vita a una lunga serie di capolavori della pittura, ed era già stata messa in musica da Vivaldi quale sacrum militare oratorium in lingua latina: ma, davanti a tali precedenti, il poeta preferì aggirare lostacolo. Al contrario di Tiziano, Veronese o Caravaggio la sua Betulia non ci mostra luccisione di Oloferne: il barbaro condottiero non compare mai – sebbene i racconti che fanno di lui il luogotenente Achior e la protagonista siano più che sufficienti a descriverlo – e, in unideale mappa delliconografia delle Giuditte, Metastasio preferisce porsi sulla scia di Botticelli, che raffigura la donna in fuga dopo lomicidio anziché concentrarsi sulla sua esecuzione materiale.
Langoscia dellassassina armata da Dio, così come quella dei soldati al cospetto del cadavere decapitato, ci viene trasmessa retrospettivamente, grazie a quellarte del racconto che i recitativi di Jommelli e Mozart sanno poi rendere così mobile e drammatico; e in questa tragedia “narrata”, più che vissuta sul momento, non manca spazio per pensose digressioni, come quella che apre la seconda parte: lebreo Ozìa e il babilonese Achior si affrontano in una disputa sulla natura di Dio, in cui monoteismo e politeismo, panteismo e idolatria si rimpallano senza vincitori né vinti (Achior si convertirà, ma in un secondo momento) e dove semmai il barbaro appare più tollerante e relativista dell“illuminato”. Metastasio affronta la pagina con il virtuosismo poetico-dialettico di chi ha ben assimilato il pensiero di Leibniz dell«Essere più perfetto» e della sua possibile coesistenza accanto al male: ma come la traducono in musica i due autori?
Betulia liberata di W. A. Mozart - Alisa Kolosova
La Betulia liberata di Jommelli porta la definizione di “oratorio”, laddove quella mozartiana ha la più anfibia e fluida qualifica di “azione sacra”; e difatti a Ravenna solo la seconda è stata rappresentata in forma scenica. Tuttavia è proprio la Betulia di Jommelli, aspirando a una compattezza architettonica non ancora conquistata dal quindicenne Mozart, che mostra una tensione verso il giusto passo teatrale e, di conseguenza, sforbicia un po questa scena, affascinante alla mera lettura. Mozart, al contrario, salvaguarda lintegrità del testo, ma rinuncia qui alla modalità del “recitativo accompagnato” – utilizzata nei momenti di maggiore intensità drammatica – per avvalersi del tradizionale “recitativo secco”: un modo per non distogliere lascoltatore dalle parole, facendo in modo che ogni vocabolo della disputa sia chiarissimamente percepito? O un sintomo di relativa disattenzione verso affondi filosofici e problematiche teologiche?
Per il resto larticolazione in sole quattro voci, statutaria nel genere oratoriale, induce Jommelli ad accorpare in un unico ruolo i due capopopolo Cabri e Carmi – una sintesi proficua, tutto sommato – e a sopprimere il personaggio della mater dolorosa Amital, rinunciando alla contrapposizione tra questa figura muliebre ripiegata e la femminilità pugnace della protagonista, che sarà invece uno degli spunti più interessanti della Betulia mozartiana. Per contro, la lunga militanza di Jommelli nellopera buffa garantisce ai personaggi un realismo psicologico che nel lavoro di Mozart è meno vivido: i trapassi caratteriali di Achior sono resi con una linea canora estremamente frastagliata, laddove lomologo personaggio mozartiano appare più monolitico. Ma è differente soprattutto la scontornatura vocale della protagonista. Mozart non si lascia sfuggire quanto di erotico cè nella vicenda di questa vedova irreprensibile, ma capace di accendere la sensualità altrui e, forse, di non rinunciare alla propria: al contrario del Vecchio Testamento, dove Giuditta esce dalla tenda di Oloferne «senza che abbia commesso peccato», nel libretto non cè alcun riferimento in tal senso, anzi il racconto delleroina è di unelusività tanto più ambigua quanto più stuzzicante. Il futuro autore del Don Giovanni non poteva restare insensibile a tali sollecitazioni, e concepì Giuditta per una carnalissima scrittura contraltile; la severità delloratorio impose a Jommelli di glissare, ripiegando su una più liliale vocalità da soprano.
Betulia liberata di W. A. Mozart - Una scena
Tutto questo, e molte altre cose ancora, emerge nella lettura di Muti con una tale chiarezza da rendere inutile qualunque ricognizione esegetica. Anche della messinscena per Mozart si sarebbe potuto fare a meno, sebbene Marco Gandini realizzi una regia sobria ma senza grigiori e il tandem Italo Grassi – Gabriella Pescucci (scenografo e costumista) ci regali un momento emozionante: il racconto della protagonista, tornata a casa dopo la sua cruenta missione, davanti al popolo di Betulia, visivamente impaginato come in una sorta di presepe vivente. La chiarezza del concertatore trova il più diretto corollario nel ferreo lavoro sulla dizione dei cantanti: solo per Laura Polverelli, la Giuditta jommelliana, forse perché alle prese con una tessitura un potroppo alta per lei, si può parlare di un testo non sempre limpidamente proiettato dal canto. È però una protagonista ferrata sul piano stilistico e intensa sul piano espressivo, laddove la più giovane Alisa Kolosova, Giuditta in Mozart, è uninterprete a tratti acerba e una vocalista corretta ma cauta (la spettacolare messa di voce con cui inizia lultima grande aria della prima parte richiederebbe un più grintoso dominio del proprio strumento). Il timbro scuro e carnoso è però ideale per il personaggio, così come Mozart laveva concepito.
Se Giuditta è la protagonista, il “ruolo monstre” – nelluna come nellaltra Betulia – è quello di Ozìa, scritto per castrato da Jommelli, per tenore da Mozart. Antonio Giovannini ha una voce fenomenale: per estensione (siamo a un dipresso dalle tre ottave), omogeneità di registri (ora sopranista ora contraltista senza cesure né scollamenti di emissione), resistenza di fiati. Qualche problema di tenuta, sotto questultimo profilo, lo mostra invece Michael Spyres; resta da vedere, però, quanti altri sarebbero oggi in grado daffrontare questa massacrante scrittura baritenorile, scura ed eroica al centro, flautata e suadente nel registro di testa. La locandina mozartiana prosegue con un terzetto di voci femminili non sempre a fuoco (emerge, anche perché ha più spazio, lAmital di Marta Vandoni Iorio) ma soddisfacente: cosa che purtroppo non si può dire per lAchior, un po vacuo e stimbrato, di Nahuel di Pierro. In Jommelli si apprezzano invece il Carmi di Dmitri Korchak, ragguardevole per smalto e squillo, e lAchior di Vito Priante, di notevole precisione ritmica nella sua grande aria contrappuntistica ma, soprattutto, sapiente cesellatore di recitativi. Tutto perfettamente amalgamato da Muti, che sa come riportare Mozart a unidea di suono tuttaltro che rarefatto, in cui lideale di classica levigatezza convive con uninesausta pulsazione drammatica, ed esalta tutti i contrasti dinamici che scandiscono la densissima partitura di Jommelli. Che un simile risultato si ottenga con unorchestra “moderna” (la giovanile Luigi Cherubini) anziché di strumenti antichi – salvo il “continuo”, affidato, con esiti molto interessanti, a viola da gamba, arpa barocca e clavicembalo – è la prova che il vero “antico” risiede, semplicemente, in ciò che sa trasmettere il pensiero e la bacchetta.
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