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Dell’Oratorio e dell’Azione Sacra

di Paolo Patrizi
  Betulia liberata
Data di pubblicazione su web 08/07/2010  

Alla fine è una disputa teologica il banco di prova per un confronto tra la Betulia liberata di Niccolò Jommelli (1743) e quella del divino fanciullo Wolfgang Amadeus, quindicenne quando, una trentina d’anni dopo, musicò il medesimo libretto di Metastasio. Il più tedesco dei compositori partenopei (tre lustri alla corte di Stoccarda giovarono a Jommelli un’inclinazione verso la complessità strumentale che cercheremmo inutilmente negli altri grandi della Scuola Napoletana) e il più mediterraneo dei compositori austriaci trovano dunque occasione, grazie a Riccardo Muti e al Ravenna Festival, per un confronto diretto. A far da collante, un testo – d’altronde intonato anche da molti altri musicisti – che Metastasio reputava il suo lavoro migliore: quasi una nemesi, se si pensa che fu proprio il tardo Jommelli, con la modernità delle sue drammaturgie musicali, a contribuire più d’ogni altro alla presa di distanza dalle convenzioni metastasiane, e che sarebbe poi toccato al Mozart dell’Idomeneo il colpo di spugna in tal senso.

 

Betulia liberata di Niccolò Jommelli

 

Più che del soggetto, forse, Metastasio era soddisfatto del modo con cui l’aveva svolto. La vicenda del Vecchio Testamento narrata nel Libro di Giuditta è allo stesso tempo così carnale e spirituale, allegorica e cruenta, che con la sua icasticità aveva dato vita a una lunga serie di capolavori della pittura, ed era già stata messa in musica da Vivaldi quale sacrum militare oratorium in lingua latina: ma, davanti a tali precedenti, il poeta preferì aggirare l’ostacolo. Al contrario di Tiziano, Veronese o Caravaggio la sua Betulia non ci mostra l’uccisione di Oloferne: il barbaro condottiero non compare mai – sebbene i racconti che fanno di lui il luogotenente Achior e la protagonista siano più che sufficienti a descriverlo – e, in un’ideale mappa dell’iconografia delle Giuditte, Metastasio preferisce porsi sulla scia di Botticelli, che raffigura la donna in fuga dopo l’omicidio anziché concentrarsi sulla sua esecuzione materiale.

 

L’angoscia dell’assassina armata da Dio, così come quella dei soldati al cospetto del cadavere decapitato, ci viene trasmessa retrospettivamente, grazie a quell’arte del racconto che i recitativi di Jommelli e Mozart sanno poi rendere così mobile e drammatico; e in questa tragedia “narrata”, più che vissuta sul momento, non manca spazio per pensose digressioni, come quella che apre la seconda parte: l’ebreo Ozìa e il babilonese Achior si affrontano in una disputa sulla natura di Dio, in cui monoteismo e politeismo, panteismo e idolatria si rimpallano senza vincitori né vinti (Achior si convertirà, ma in un secondo momento) e dove semmai il barbaro appare più tollerante e relativista dell’“illuminato”. Metastasio affronta la pagina con il virtuosismo poetico-dialettico di chi ha ben assimilato il pensiero di Leibniz dell’«Essere più perfetto» e della sua possibile coesistenza accanto al male: ma come la traducono in musica i due autori?

 

Betulia liberata di W. A. Mozart - Alisa Kolosova

 

La Betulia liberata di Jommelli porta la definizione di “oratorio”, laddove quella mozartiana ha la più anfibia e fluida qualifica di “azione sacra”; e difatti a Ravenna solo la seconda è stata rappresentata in forma scenica. Tuttavia è proprio la Betulia di Jommelli, aspirando a una compattezza architettonica non ancora conquistata dal quindicenne Mozart, che mostra una tensione verso il giusto passo teatrale e, di conseguenza, sforbicia un po’ questa scena, affascinante alla mera lettura. Mozart, al contrario, salvaguarda l’integrità del testo, ma rinuncia qui alla modalità del “recitativo accompagnato” – utilizzata nei momenti di maggiore intensità drammatica – per avvalersi del tradizionale “recitativo secco”: un modo per non distogliere l’ascoltatore dalle parole, facendo in modo che ogni vocabolo della disputa sia chiarissimamente percepito? O un sintomo di relativa disattenzione verso affondi filosofici e problematiche teologiche?

 

Per il resto l’articolazione in sole quattro voci, statutaria nel genere oratoriale, induce Jommelli ad accorpare in un unico ruolo i due capopopolo Cabri e Carmi – una sintesi proficua, tutto sommato – e a sopprimere il personaggio della mater dolorosa Amital, rinunciando alla contrapposizione tra questa figura muliebre ripiegata e la femminilità pugnace della protagonista, che sarà invece uno degli spunti più interessanti della Betulia mozartiana. Per contro, la lunga militanza di Jommelli nell’opera buffa garantisce ai personaggi un realismo psicologico che nel lavoro di Mozart è meno vivido: i trapassi caratteriali di Achior sono resi con una linea canora estremamente frastagliata, laddove l’omologo personaggio mozartiano appare più monolitico. Ma è differente soprattutto la scontornatura vocale della protagonista. Mozart non si lascia sfuggire quanto di erotico c’è nella vicenda di questa vedova irreprensibile, ma capace di accendere la sensualità altrui e, forse, di non rinunciare alla propria: al contrario del Vecchio Testamento, dove Giuditta esce dalla tenda di Oloferne «senza che abbia commesso peccato», nel libretto non c’è alcun riferimento in tal senso, anzi il racconto dell’eroina è di un’elusività tanto più ambigua quanto più stuzzicante. Il futuro autore del Don Giovanni non poteva restare insensibile a tali sollecitazioni, e concepì Giuditta per una carnalissima scrittura contraltile; la severità dell’oratorio impose a Jommelli di glissare, ripiegando su una più liliale vocalità da soprano.

 


Betulia liberata di W. A. Mozart - Una scena


 Tutto questo, e molte altre cose ancora, emerge nella lettura di Muti con una tale chiarezza da rendere inutile qualunque ricognizione esegetica. Anche della messinscena per Mozart si sarebbe potuto fare a meno, sebbene Marco Gandini realizzi una regia sobria ma senza grigiori e il tandem Italo GrassiGabriella Pescucci (scenografo e costumista) ci regali un momento emozionante: il racconto della protagonista, tornata a casa dopo la sua cruenta missione, davanti al popolo di Betulia, visivamente impaginato come in una sorta di presepe vivente. La chiarezza del concertatore trova il più diretto corollario nel ferreo lavoro sulla dizione dei cantanti: solo per Laura Polverelli, la Giuditta jommelliana, forse perché alle prese con una tessitura un po’troppo alta per lei, si può parlare di un testo non sempre limpidamente proiettato dal canto. È però una protagonista ferrata sul piano stilistico e intensa sul piano espressivo, laddove la più giovane Alisa Kolosova, Giuditta in Mozart, è un’interprete a tratti acerba e una vocalista corretta ma cauta (la spettacolare messa di voce con cui inizia l’ultima grande aria della prima parte richiederebbe un più grintoso dominio del proprio strumento). Il timbro scuro e carnoso è però ideale per il personaggio, così come Mozart l’aveva concepito.

 

Se Giuditta è la protagonista, il “ruolo monstre” – nell’una come nell’altra Betulia – è quello di Ozìa, scritto per castrato da Jommelli, per tenore da Mozart. Antonio Giovannini ha una voce fenomenale: per estensione (siamo a un dipresso dalle tre ottave), omogeneità di registri (ora sopranista ora contraltista senza cesure né scollamenti di emissione), resistenza di fiati. Qualche problema di tenuta, sotto quest’ultimo profilo, lo mostra invece Michael Spyres; resta da vedere, però, quanti altri sarebbero oggi in grado d’affrontare questa massacrante scrittura baritenorile, scura ed eroica al centro, flautata e suadente nel registro di testa. La locandina mozartiana prosegue con un terzetto di voci femminili non sempre a fuoco (emerge, anche perché ha più spazio, l’Amital di Marta Vandoni Iorio) ma soddisfacente: cosa che purtroppo non si può dire per l’Achior, un po’ vacuo e stimbrato, di Nahuel di Pierro. In Jommelli si apprezzano invece il Carmi di Dmitri Korchak, ragguardevole per smalto e squillo, e l’Achior di Vito Priante, di notevole precisione ritmica nella sua grande aria contrappuntistica ma, soprattutto, sapiente cesellatore di recitativi. Tutto perfettamente amalgamato da Muti, che sa come riportare Mozart a un’idea di suono tutt’altro che rarefatto, in cui l’ideale di classica levigatezza convive con un’inesausta pulsazione drammatica, ed esalta tutti i contrasti dinamici che scandiscono la densissima partitura di Jommelli. Che un simile risultato si ottenga con un’orchestra “moderna” (la giovanile Luigi Cherubini) anziché di strumenti antichi – salvo il “continuo”, affidato, con esiti molto interessanti, a viola da gamba, arpa barocca e clavicembalo – è la prova che il vero “antico” risiede, semplicemente, in ciò che sa trasmettere il pensiero e la bacchetta.

 

 

Betulia liberata

Oratorio per quattro voci, coro e strumenti
cast cast & credits
Azione sacra in due parti KV 118
cast cast & credits

 

 

 

  

Betulia liberata di W. A. Mozart - Alisa Kolosova e Michael Spyres

 
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