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L'ambiguo destino delle Due Sicilie

di Donato De Carlo
  una scena
Data di pubblicazione su web 28/06/2010  

Il Maggio Musicale Fiorentino ha chiuso la programmazione operistica con il nuovo lavoro, appositamente commissionato: Natura viva; testo e regia di Ruggero Cappuccio, musica di Marco Betta. Una giovane donna di nome Luce, dall’identità e dal passato imprecisati, torna dopo lunga assenza nella sua città, Palermo, dove l’assale il ricordo della tragica storia della sua terra. Luce rivive allucinata tre diverse morti, ognuna delle quali per le tre ragioni che dovrebbero rendere la vita degna di esser stata vissuta: la giustizia, l’arte, l’amore. Protagonisti delle tre morti, nei quali Luce si identifica: Paolo Borsellino, Caravaggio e Luce stessa che, intesa quale novella Antigone, si sacrifica per dare sepoltura a tutte le vittime del male. Intorno a Luce un gruppo di altre sei fantasmatiche donne siciliane, che a volte dialogano con lei, altre volte riflettono, in intermezzi lirici, su ciò che le accade.

 

La parte della protagonista è quasi esclusivamente recitata, quella delle donne prevalentemente cantata e sovente anche danzata. Tutto lo svolgimento ha come luogo un giardino d’inverno d’una casa signorile disabitata; in esso sta il riferimento alla natura, che da morta deve esser fatta rivivere, come annuncia il titolo capovolgendo la locuzione usuale in pittura. Nell’illustrare questo motivo con riferimenti alla vegetazione, la messa in scena è stata però forse troppo parca; anche le vestigia di un mondo d’inizio Novecento (proiettori, macchine fotografiche, abiti belle époque) sono parse meno numerose di quelle intese nella didascalia del libretto. La mancanza dei sopratitoli ha poi fatto perdere il nesso fra la parte recitata di Luce, sempre perfettamente comprensibile grazie al microfono, e i cori e canti del gruppo di donne, specie nei versi in dialetto. Solo alla lettura del libretto si è così potuto cogliere il motivo metaforico delle rose che collega il canto precedente il primo episodio a quello che chiude il secondo; sono le rose il fiore marcito, l’emblema della Sicilia, dalla cui putrefazione si deve trarre una speranza di salvezza, come dalle esalazioni misteriosamente aromatiche delle reliquie di sante: le parole con cui Luce propone questa similitudine vengono riprese nel canto, dedicato alle rose, che chiude il secondo episodio, La Morte per Arte. Didascaliche le proiezioni che annunciano ogni episodio col suo titolo.


 


Chiara Muti (Luce)

 

Per Cappuccio il presente violento della Sicilia è dovuto alla fine del legame materno fra la terra e i suoi figli, un cordone tagliato dalla modernizzazione degli anni sessanta e settanta. È il motivo vividamente racchiuso nell’immagine di Borsellino che sente, sotto l’asfalto divelto dalla bomba che lo uccide, il calore sanguinolento della nuda terra. Meno convincente l’apologo sessuale che sintetizza il destino del sud condannato alla vessazione criminale, e introduce i tre quadri: ĞLe Due Sicilie non le ha fatte nessuno. Sono un maschio e una femmina. È destino che s’hanno ’a fottere. Per sempreğ. A questa ambigua forza erotica, insieme mortale e vitale, al Palermo “masculo” nominato dal coro alla fine della prima morte, Luce si consegna nell’ultimo quadro per ricostituire il rapporto materno interrotto, lasciandosi dolcemente ingravidare, rendendo luce, come il suo stesso nome indica, le ombre cui ha chiesto perdono, e il male rievocato. Sulla scena compare dunque nel finale una grossa culla mentre una brava ballerina compie evoluzioni salendo un nastro rosso calato dall’alto. Così rappresentato, non risulta però del tutto chiaro che anche quest’ultimo episodio sia una morte; e nel complesso del lavoro non è facile cogliere in che senso vada inteso il trapasso fra gli opposti, l’erotismo ambivalente su cui il testo si fonda.

 

Marco Betta ha scritto la sua partitura per un’orchestra da camera che omaggia il Giro di vite di Britten, tre voci di soprano e due di mezzosoprano, le donne che circondano Luce; le parti vocali cercano un legame fra canto popolare siciliano, vagheggiamenti della grecità e melodramma tradizionale. Il risultato non è sempre godibile, pur non mancando alcuni momenti di fascino, tra i quali l’introduzione generale. Convincente l’esecuzione, più nella parte strumentale che in quella vocale. Cardine della riuscita dello spettacolo la prova della protagonista, Chiara Muti.











Natura viva



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