drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Il ladro d'identità

di Luigi Nepi
  Robin Hood
Data di pubblicazione su web 18/05/2010  

Se ormai sembra acclarata l’esistenza di un genere cinematografico dei cosiddetti "film da festival" (solitamente piccole produzioni di paesi emergenti, con storie travagliate o poetiche, che difficilmente usciranno dal circuito festivaliero) è altrettanto evidente che vi sia anche un genere che potremo definire "film d’apertura dei grandi festival", ovvero grandi produzioni molto spettacolari, realizzate da affermati registi, interpretate da grandi attori, programmate per grandi incassi e, per questo, usate come grande veicolo pubblicitario bidirezionale (del festival verso il film e del film verso il festival). In questo contesto Robin Hood ha tutte le carte in regola per aprire questo 63° Festival del Cinema di Cannes che ha evidentemente bisogno di eventi, visto il tono "da crisi" della competizione (almeno se la si confronta con la partecipazione "stellare" dello scorso anno). Ridley Scott, a quasi venti anni di distanza da Thelma e Louise, ritorna così sulla Croisette e lo fa con un film con il quale vorrebbe rinverdire i fasti de Il gladiatore: stesso attore (Russell Crowe), stessa imponente macchina produttiva (oltre 200 milioni di dollari) e un altro personaggio forte e socialmente impegnato. Certo l’operazione, questa volta, presenta qualche piccolo problema in più, primo fra tutti quello di una storia troppo nota e, soprattutto, troppo replicata, per essere riproposta senza variazioni; per questo viene deciso di raccontare ciò che ancora non era stato raccontato, ovvero le origini del mito, rivelando le radici del nostro eroe e cosa lo ha spinto a diventare il ladro gentiluomo che "ruba ai ricchi per dare ai poveri".


Il film inizia durante l’assedio inglese al castello di Châlus, nel 1199 dove Robin di Longstride è un arciere tra gli arcieri di re Riccardo Cuor di Leone, che sta tornando da una crociata durata dieci anni ed è proprio la morte del re durante l’assalto finale a determinare la fuga-diserzione di Robin e di tre suoi amici per cercare di rientrare in patria, prima che sulle coste si riversi tutto l’esercito in rotta. Durante la loro fuga si imbattono nell’imboscata tesa dai francesi e dal doppiogiochista Sir Godfrey (Mark Strong) al drappello che deve riportare in patria la corona del re; decidono così di sostituirsi agli inglesi uccisi; ma il comandante del drappello, Sir Loxley di Nottingham, prima di morire vincola Robin alla promessa di riportare la sua spada al vecchio padre. Tornati in Inghilterra i quattro decidono di andare a Nottingham per onorare la promessa fatta. Qui Robin incontrerà il vecchio padre di Sir Loxley ormai cieco (Max Von Sydow) e la sua combattiva vedova Lady Marian (Cate Blanchett), i quali gli proporranno di prendere effettivamente il posto del defunto per proteggere la loro proprietà. Contemporaneamente Sir Godfrey fa razzie nelle campagne inglesi con un manipolo di soldati francesi, apparentemente su ordine del re, ma in realtà per preparare l’invasione da parte del re di Francia Filippo II. Con i francesi ormai alle porte, Robin-Sir Loxley strappa a re Giovanni la promessa di firmare la Magna Charta riuscendo così a convincere i nobili a schierarsi con il re per fermare gli invasori, proprio sotto le scogliere di Dover. Come da manuale di sceneggiatura, mentre tutto sembra andare per il meglio, accadrà quell’imprevisto che costringerà Robin e i suoi amici a darsi alla macchia, chiudendo così il cerchio con la didascalia che apre il film: "quando la legge opprime il suddito, allora viene il tempo dei fuorilegge".

Ridley Scott è sicuramente un maestro nel saper catturare l’attenzione dello spettatore e l’inizio di Robin Hood non può che confermarlo, visto che la ricostruzione dell’assedio di Châlus è veramente impressionante, soprattutto per la precisione con cui cerca di restituire l’atmosfera medievale di quel tempo: piovosa, fangosa, essenziale nella sua crudezza, totalmente priva di qualsiasi aura di magnificenza; così come lo sono gli stessi personaggi: sporchi, egoisti, disonesti e rancorosi, a partire da re Riccardo Cuor di Leone, molto più simile ad un capo barbaro che all’illuminato sovrano che proprio l’epica legata a Robin Hood ha contribuito a tramandare. Il film prosegue con un andamento che definirei, sia narrativamente che visivamente, a "clessidra"; infatti prima si stringe progressivamente intorno ai personaggi principali ed alle dinamiche che si instaurano tra di loro, per poi riprendere ad allargarsi fino alla scontata battaglia finale, che però si presenta specularmente opposta a quella iniziale, in quanto viene abbandonata ogni remora di plausibilità storica e riproposta una versione medievale dello sbarco in Normandia di Salvate il soldato Ryan, che oscilla tra la citazione, il plagio e la parodia della pellicola di Spielberg.


Questo Robin Hood è uno di quegli strani casi in cui il risultato finale è paradossalmente inferiore alla somma dei singoli addendi. Infatti, prese una per una, le singole parti che compongono il film contengono tutte elementi davvero molto interessanti, ma il loro amalgama non convince in pieno. Si deve riconoscere che Russell Crowe fornisce un’ulteriore prova del suo talento sofisticatamente rozzo, dando al personaggio di Robin Hood quell’apparente inespressività e quella massiccia fisicità che finalmente ne fanno un uomo del medioevo e non il brillante guascone ottocentesco dei suoi predecessori; mentre Cate Blanchett (memore della sua interpretazione della regina Elisabetta I) restituisce una Lady Marian inaspettatamente dura, pragmatica e combattiva (anche se l’epilogo alla Giovanna d’Arco è francamente eccessivo); su tutti, però, giganteggia l’eterno Max von Sydow, che fa subito tornare alla mente il padre bergmaniano de La fontana della vergine e quindi rende il patetico tentativo di vendetta su chi gli ha ucciso il figlio una profonda riflessione sulla forza devastante della vecchiaia.

Avendo già accennato al grande lavoro sul set ed alla precisa ricostruzione del paesaggio c’è da dire che anche la fotografia di John Mathieson, abbandonato il viraggio azzurro che caratterizzava il medioevo de Le crociate, si concentra sulla modulazione delle varie tonalità di grigio e di verde, contribuendo così non poco al "realismo" della scena. Un altro pregio del film è sicuramente rappresentato dall’accuratezza della banda sonora, caratterizzata da un’estrema profondità di campo; il sound editor Christopher Assells, pone una grande attenzione alla precisione dei rumori ed alla definizione degli oggetti, rendendo addirittura riconoscibile la spada del protagonista che vibra nell’aria con un suono solo a lei dedicato.


La parte meno riuscita è, inaspettatamente, proprio quella legata alla regia. In effetti, nonostante il film non presenti particolari cali di tensione, Ridley Scott (73 anni e ben sei progetti in più o meno avanzato stato di preparazione) sembra affidarsi alla sua indubbia esperienza più che ad una vera e propria ispirazione, recuperando quelle inquadrature strette e velocizzate che caratterizzavano i combattimenti de Il gladiatore. Le battaglie, se si esclude l’assedio iniziale, ricordano fin troppo quelle de Le crociate, anche le scene di massa non si segnalano per la loro originalità e non si può certo definire originale il ricorso alle riprese classiche del genere, come l’immancabile e chilometrica soggettiva della freccia scagliata da Robin Hood verso il cattivo di turno. Alla fine anche il serratissimo montaggio che frammenta le sequenze in un intricato puzzle di brevi inquadrature, seppur affidato alle sapienti mani del premio oscar Pietro Scalia, appare più un esercizio di stile dovuto alla contemporanea presenza sul set di numerose macchine da presa che qualcosa di effettivamente legato a delle precise esigenze ritmiche dell’immagine o del narrato.

Sebbene qua e là sia presente il germe salvifico dell’ironia (con rare battute, ma degne di Mel Brooks), è proprio in questa mancanza di "coraggio" che devono ricercarsi le cause di quell’assurdo aritmetico di cui sopra, ed è per questo che la visione di questo Robin Hood lascia in fondo qualche perplessità, anche da un punto di vista narrativo. Alcune scelte, infatti, sembrano più un pastiche di luoghi comuni intorno a punti di riferimento ben riconoscibili che veri e propri slanci di fantasia (tra tutti il classico gioco di richiami storici che porta Robin Hood ad essere addirittura il figlio dell’autore della Magna Charta). Insomma, al contrario di Avatar, qui si ha la netta impressione di trovarci di fronte ad un’altra buona occasione sacrificata a quella logica del profitto che impedisce di osare più di quello che si crede essere il dovuto. Prepariamoci al sequel.

Robin Hood
cast cast & credits
 






 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013