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Aria Triste

di Roberto Fedi
  Tristezza
Data di pubblicazione su web 12/05/2010  

Mettiamo che uno a un certo momento della sua vita voglia fare il comico di mestiere. Bene, è un lavoro come un altro, anzi meglio: fa ridere o sorridere la gente. Dovrebbe addirittura essere una categoria protetta. Che fa? Ci si immagina che provi un po’: prima con gli amici, i familiari, i compagni di scuola o che so io. Poniamo che li faccia ridere. Perfetto: è il viatico per la carriera, o almeno per provarci. Sembrerebbe la normalità, no?

 

Ebbene: ci si chiede a chi abbiano fatto vedere, all’inizio della loro carriera, le loro prove i “comici” (le virgolette sono d’obbligo) di Voglia d’aria fresca (martedì Rai Uno, prima serata). Ci sono solo due risposte: o alla mamma, che si sa è sempre benevola con i figli anche disgraziati perché “ogni scarraffone è bello a mamma sua”, o a se stessi, di fronte allo specchio. Perché onestamente sfidiamo chiunque abbia un minimo, anche solo un minimo di senso dell’ironia o del comico a ridere, che diciamo?, a sorridere di fronte a questi qui. Che ci si chiede dove sia andato a trovarli Carlo Conti.

 

Ancora lui. Che è, lui stesso, un mistero. Come faccia a imperversare alla Rai, non riusciamo a spiegarcelo. Non sa fare nulla in modo appena decente: non sa presentare, non è simpatico, non è bello, è un tappo. È solo nero come il carbone, per eccessiva esposizione ai raggi UVA o come si chiamano. Sembra, e forse è questa la sua forza, un dilettante allo sbaraglio, quasi più dei “comici” (vedi sopra) che presenta e che ha raccolto intorno a sé. Nel generale dilettantismo televisivo lui è il re. Mah.

 

Aria fresca era un programmino di una rete locale toscana, una quindicina d’anni fa, che presentava gente sconosciuta che faceva un po’ ridere. Lì venne lanciato Panariello, che poi ha continuato per tutta la vita a rifare, fino al disgusto (nostro), le stesse cose. Vabbè: in una Tv locale poteva anche andare. Le scenette erano tirate per i capelli, ma si sa, che si può pretendere da un’emittente da quattro soldi? Il problema è che questa stessa filosofia (ci scusiamo con la Filosofia) alla Rai in prima serata fa rabbrividire.

 

Così, come in uno Zelig di ritorno, ecco una serie di personaggi che dovrebbero far ridere. Brevi scenette – per fortuna. L’altra sera c’era anche un comico professionista, Enrico Montesano, che non vuole invecchiare e fa sempre, anche lui, le stesse cose e le stesse battute. Non faceva ridere. Poi i personaggi più o meno fissi.

 

Non ce ne ricordiamo neanche uno. È uno Zelig degradato: sembra l’esame di riparazione di quelli scartati lì o a Colorado caffè, che è tutto dire. Senza senso del ritmo, cosa inaudita in uno spettacolo comico dopo Drive in. I siparietti si susseguono uno via l’altro, come a cercar di finire prima che si può. Quando interviene la Barbera (ci pare che si chiami così), cioè Sconsolata detta (da Conti) Sconsy, si tocca il livello più basso di un programma che viaggia all’altezza di Carlo Conti, cioè “terra terra”. Il pubblico, addomesticato, applaude. Noi restiamo sbalorditi a pensare che si possa ridere, anche a comando, per battute come questa, in un monologo che dovrebbe trattare della fedeltà: una cosa “magnifica, anzi magnifìca” (notare l’accento sulla “i”). L’aggettivo forse non era quello, ma le ultime due sillabe sì. Da vergognarsi. La quale Sconsolata alla fine intona anche una canzone di cui non abbiamo capito nulla, tanto stonava. Applausi.

 

Sconsolati, ci raccontiamo da soli una barzelletta davanti allo specchio. Non abbiamo riso. Ma mica facciamo i comici, noi.

 




 
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