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Le sfide di una Compagnia

di Gilda Deianira Ciao
  Il Mercante di Venezia (Foto: Marco Caselli Nirmal)
Data di pubblicazione su web 23/04/2010  

Quattro maschere in cuoio, tre completi scuri e un abito leggero: questi i bagagli della Compagnia Civica-Borgogni-De Summa-Feliziani-Romagnoli. Ne Il Mercante di Venezia anche le sedie che costituiscono la scenografia sono fornite di volta in volta dal teatro ospitante, ma tanto basta alla regia di Massimiliano Civica per disegnare lo spazio e volgere la pagina shakespeariana in rappresentazione.

La scrittura registica di Civica parte da un atto primario di esplorazione del testo, quello ravvicinato della traduzione, realizzata da lui stesso a stretto contatto con gli attori. In questo senso, recupera all’opera dell’autore elisabettiano l’originario valore di copione, confrontando le possibilità linguistiche della versione italiana con la dimensione fisica della parola detta sulla scena. In parallelo, individua le direttrici del discorso complessivo di cui ciascun personaggio è espressione: questa indagine fornisce il criterio per gli interventi sulla struttura drammaturgica. Tagli o accorpamenti di battute, inversione nell’ordine di alcune scene rispondono all’esigenza di isolare o raccordare tra loro momenti chiave di certe situazioni drammatiche. Se Civica svuota il palco, è per lasciare spazio alla materializzazione testuale.

Le maschere, appese alle quattro sedie allineate, accolgono il pubblico prima dell’ingresso degli attori, che arrivano uno dietro l’altro. Dalla fila si distacca Mirko Feliziani, e comincia il monologo di Antonio. Sotto le luci fisse si avvia così una partita giocata con il grado zero dei segni teatrali. Un’opera di pulizia, nel senso che fa piazza pulita di ogni via di fuga dal corpo a corpo con la parola: qui l’attore tende a farsi veicolo, a concedere la propria presenza per ‘farsi parlare’ piuttosto che ‘esprimere’. E dunque: gesti rari, a parte quello pratico di mettere o sfilare dal viso il cuoio d’artigiana fattura; sporadici cenni di mimica su volti tendenti, anche nudi, alla maschera neutra; corpi che attraversano la scena su linee parallele o perpendicolari alla sala, lasciando l’immobilità da seduti solo per raggiungere un punto diverso nello spazio; relazioni prossemiche primarie, attore di fronte al pubblico o a fronteggiare il compagno. Ne deriva un sistema coreografico di immagini basato sulla ripetizione, in cui ogni variazione è un implemento di senso rispetto al paradigma.

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo (Foto: Marco Caselli Nirmal)

In questa linearità alcune forme di gestica metaforica creano aperture al gioco con la convenzione teatrale: gli attori inginocchiati in proscenio diventano i tre scrigni tra cui ciascun pretendente di Porzia deve scegliere; Bassanio tiene in mano una lettera invisibile mentre è lo stesso Feliziani a recitare le parole inviate da Antonio all’amico. Più spesso, però, il corpo dell’attore è fermo per esporre la presenza del personaggio, portarne al pubblico il discorso. Non si tratta solo di uscire dal naturalismo e da una interpretazione connotata psicologicamente: Civica rifiuta, sul fronte della paralinguistica, sia l’intonazione come segno dell’intenzione che sta nella battuta, sia la dilatazione musicale del suono, e la recitazione scorre su un tono monocorde, mosso a volte da mutamenti di ritmo o di intensità.

Le fattezze umane diventano, nelle maschere realizzate da Andrea Cavarra, astratti triangoli convergenti verso il centro – la punta del naso – sotto i quali restano liberi la bocca e il mento. Il volto scoperto, che conferisce fisionomia individuale, è riservato ai protagonisti della vicenda: Antonio, il mercante (Mirko Feliziani); Bassanio, il suo intimo amico senza mezzi (Oscar De Summa); Shylock, l’ebreo usuraio (Angelo Romagnoli); la bella ereditiera Porzia (Elena Borgogni). L’anonimato della maschera riassume invece tutti gli altri personaggi, come funzioni drammaturgiche necessarie per lo svolgimento dell’azione, piuttosto che caratteri autonomi. I quattro attori della Compagnia coprono così tutti i ruoli, rimanendo di volta in volta seduti e mascherati – quasi un coro muto – quando non recitano battute. Questa soluzione corrisponde alla scelta di enucleare alcune direttrici dell’intreccio, sfrondando scene periferiche – tutto il dialogo tra Lancillotto e il Gobbo di II,2, o il sub-plot dell’amore tra la serva Nerissa e il giovane Graziano – per far emergere il sistema binario delle dinamiche relazionali: Antonio-Bassanio; Shylock-Antonio; Porzia-Bassanio; Jessica-Lorenzo.

Nello spettacolo, la compresenza degli attori impegnati a dialogare e di quelli seduti rende con chiarezza geometrica l’intersezione tra i plot principali, mentre l’attribuzione di doppi ruoli fa scorgere omologie a prima vista insospettabili tra parti di protagonista e secondarie. Così è, ad esempio, nell’assonanza tra il discorso del principe di Aragona, pretendente di Porzia, disprezzatore della «sciocca moltitudine», e certi tratti di Antonio, il mercante che guarda le cose del mondo con malinconico distacco. Ecco che la regia fa scivolare indicazioni di lettura quasi di soppiatto, creando spostamenti di peso con economia di segni.

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo

Elementare è l’azione che introduce le scene ambientate a Belmonte: sulle note del brano Pin Penin di Nino Rota dal Casanova felliniano Porzia si alza, ad uno ad uno gli attori si mettono in piedi per un breve inchino, poi vanno in fila dietro di lei verso il lato opposto del palco, camminando seduti sui talloni. Traduzione letterale dei corteggiatori “ai suoi piedi”, l’immagine si ripete con progressive variazioni: la terza volta, Bassanio segnala la sua posizione di pretendente corrisposto seguendo Porzia in piedi a differenza degli altri; infine, di ritorno dopo il processo, è Porzia da sola a compiere il medesimo percorso sulla scena, interrompendo la musica con un cenno della mano, per esporre la consapevolezza acquisita.

Che il desiderio di essere amati sia il motore dell’azione e il fulcro delle relazioni tra personaggi è quanto emerge con chiarezza via via maggiore nel corso dello spettacolo. Non a caso sul palco l’unica nota di colore è l’abito rosso di Porzia-Elena Borgogni, sintesi cromatica del desiderio che è destinata a suscitare e indizio simbolico dell’humus amoroso da cui sono generate le vicende di questo play, compreso tra le commedie romantiche nel canone shakespeariano. Feliziani è un Antonio rassegnato ad accettare con dignità ogni conseguenza del suo amore omossessuale per Bassanio, dichiarato nella battuta «Io sono il castrato infetto del gregge, per natura destinato alla morte», con cui consola l’amico prima della sentenza, e da un gesto preciso: guardandosi negli occhi i due si passano la mano sul naso, in segno d’intesa intima e reciproca. Il volto di Antonio-Feliziani non è mai mosso da un sorriso o da accenni emotivi, così come la sua voce scandisce le parole con pause misurate, su un’identica nota; similmente Elena Borgogni è capace di mantenere la dizione su un tono costante e il volto fisso con aurea imperturbabilità: in questo continuum risaltano con estrema nitidezza i turbamenti e il percorso interiore di Porzia veicolati dal testo. Tra tutti i personaggi, Bassanio è l’unico ad avere esperienze mondane, e De Summa gli conferisce una sicurezza disinvolta, calibrando l’intensità della voce rotonda e alcuni segni mimici.



Più forte è l’intervento della regia sulla figura di Shylock. Nessun secondo fine appare, nelle intenzioni di Shylock-Romagnoli, quando propone di fissare in una libbra di carne la penale per il contratto; piuttosto la sua proposta è «un’offerta d’amore», e qui la traduzione dell’originale «This is kind I offer» connota il senso della battuta, rimarcata dall’altra «Per questo amore vi prego di non farmi torto» («And for my love I pray you wrong me not»). L’ebreo vuol rendersi amabile di fronte a chi disprezza lui e la sua tribù, cerca accettazione umana da contrapporre alla diversità sociale. È solo quando i suoi sentimenti sono feriti per l’ennesima volta da un cristiano, quando la figlia Jessica fugge derubandolo con il suo amato Lorenzo, che l’amore di Shylock si trasforma in sete di vendetta.

In questa prospettiva Civica isola dal dialogo tra personaggi secondari (un’unica scena nell’originale, II,8), le parti relative alla furia dell’ebreo che funzionano come introduzione al secondo arrivo in scena del personaggio. Shylock appare ora mutato, ha il volto contratto, lo sguardo percorso da furia inquieta; le sue battute di III,1, accorpate eliminando quelle degli interlocutori, diventano un monologo in cui la recitazione esprime a tratti lo stato emotivo. Rimasto da solo al centro del palco, allarga leggermente le braccia lungo i fianchi, apre i palmi delle mani come per offrirsi al nostro sguardo: quasi immobile, con spostamenti impercettibili sul proprio baricentro, rivela i propri sentimenti più intimi. La voce passa a una tonalità più bassa, il ritmo si dilata per esprimere la commozione al ricordo della moglie morta; acquista poi concisione e durezza quando espone il proposito di reclamare la carne di Antonio. Se l’amore non conta, allora la vita umana non ha valore, e un corpo può essere usato come «esca per i pesci».

Dalla lettura di Civica affiora così la matrice di un sentimento negato o sottratto dietro alle dinamiche sociali di inclusione/esclusione della ‘diversità’ sessuale (Antonio) o religiosa (Shylock). Tuttavia questo orizzonte interpretativo emerge senza orientare o subordinare le modalità di esecuzione. Per questo durante lo spettacolo si percepisce una pluralità di tracce, tematiche o di intreccio, che testimoniano la ricchezza dell’opera shakespeariana: accanto al nesso amore/diversità, quello Giustizia/Nomos, in cui Shylock è pari a un’Antigone al rovescio, oppure quello Legge/Stato, per cui la sentenza del giudice corrisponde, sul piano politico, all’annientamento di una minoranza sociale.

La ricerca registica condotta ne Il Mercante di Venezia (Premio Ubu alla regia 2008) apre, sulla base delle soluzioni trovate, ulteriori domande. Una specifica al lavoro su Shakespeare, perché nello spettacolo riluce la bellezza e la complessità dell’opera, ma manca il ritmo serrato e dinamico proprio alla sua struttura; l’altra, relativa alla recitazione. Alla funzione registica intesa come messa-in-scena del testo Civica unisce una riflessione metalinguistica – tratto della Regia storica per antonomasia – che interroga il ruolo dell’attore, la sua funzione, ed investe il concetto stesso della re-présentation. La via recitativa qui perseguita frustra le attese dello spettatore, sottraendogli quella rappresentazione delle emozioni che costituisce la sua principale forma di accesso all’evento scenico. E gli chiede una fruizione specifica, che presuppone la rinuncia all’aspettativa consueta. L’attore infatti espone la propria presenza come ‘segno’, come immagine visibile che sta al posto di altro, senza però illustrare il significato: al limite senza aggiungere connotazioni alla propria corporeità. Lo sguardo dell’interprete è spesso rivolto al pubblico, come a condividere silenziosamente le vicende che gli sta rappresentando, liberato dal compito di manifestare sentimenti. In questo modo si fa portatore di un discorso aperto, specchio della molteplicità semantica del testo in cui la percezione dello spettatore può muoversi.

Il coinvolgimento si sposta dall’immedesimazione al piacere per la chiarezza della parola e dell’azione che fluiscono sul palco; alla sorpresa per un’imprevista sfumatura di senso; all’emozione che certe frasi shakespeariane sembrano suscitare da sole. Un flusso scena-sala diverso, che può nascere solo a patto di accogliere questa cifra rappresentativa: altrimenti si resta estranei, e lo spiazzamento diventa quasi ostilità. Ecco dunque l’altra questione che non può essere elusa: se l’attore è il tramite della parola di un terzo diretta al pubblico, va reso meno fragile il canale della comunicazione con la platea, pur mantenendo con coraggio il rifiuto di compiacere.


Il Mercante di Venezia
cast cast & credits
 

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
(Foto: Marco Caselli Nirmal)




 
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