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Il ritorno di Erode

di Roberto Fedi
 
Data di pubblicazione su web 15/03/2010  
In un divertente film interpretato da Alberto Sordi, Bravissimo, del 1955 (regia di Luigi Filippo D’Amico), un bambino, Gigetto, viene scoperto dal povero maestro precario Sordi mentre canta con una voce formidabile da baritono. Il maestro Ubaldo Impallato, appunto Sordi, prima non crede alle sue orecchie, poi cerca di sfruttare quel fenomeno, che ha quel vocione a causa delle tonsille, miracolosamente infiammate. Il finale è tragicomico: dopo che parenti sconosciuti e infingardi si sono fatti vivi per avere royalties sul bambino, di cui il maestro è diventato produttore, ecco che una malaugurata operazione alle tonsille fa tornare il bambino con la sua voce infantile. Fine del mostro da baraccone.

Il film è uno dei più divertenti, e anche un po’ amari come è sempre nelle sue corde, di Sordi. Ci è venuto in mente vedendo, sabato sera su Canale 5, quell’obbrobrio per niente divertente che è Io canto, presentato dal falso simpatico Gerry Scotti. Non ne avevamo mai parlato finora per due ragioni: perché di solito il sabato sera abbiamo di meglio da fare, fosse anche solo vedere su Mediaset Premium l’anticipo della serie A; e perché caso raro ne eravamo imbarazzati. Spieghiamo perché (la terza ragione sarebbe che non è neanche originale, e che era tutta robaccia già vista, ma sorvoliamo).

Sarà capitato anche a voi, chissà quante volte, di trovare per strada, magari anche davanti a casa, quello che i cani di solito lasciano per terra. La prima reazione, almeno quella di chi sta scrivendo, è di maledire i cani. Poi interviene il ragionamento. È ovvio che i poveri cani non c’entrano niente. Loro, dove li portano e dove la fanno, c’è poco da fare. Quindi, le maledizioni vanno reindirizzate verso i padroni: che, si direbbe, dovrebbero avere più educazione, più senso civico, e più rispetto per i cittadini e anche perché no per i cani.

Ora, absit iniura verbis, la stessa reazione si prova di fronte all’orrore di cui sopra, il sabato sera. Perché vedere e ascoltare bambini di sette o poco più anni, vestiti e pettinati come i bellimbusti televisivi, che cantano, si agitano, fanno smorfie, strabuzzano gli occhi, strillano con vocioni tenorili o vocine da soprani maleducati (nella voce), insomma fanno tutto il repertorio come hanno visto fare a Sanremo o postacci del genere da cantanti che potrebbero essere loro padri e qualche volta nonni: beh, fa senso. Anche qui verrebbe da prendersela con chi, bambino, ha una voce comica da Bocelli in erba e canta robaccia sanremese, fra il tripudio della platea. O con i due poverini, bambino & bambina, che fanno il duo da mini-innamorati fra gli sguardi amorevoli di mamme, babbi, presentatori, giuria (tutti degeneri).

Poi pensate che quelli non sanno quello che fanno, e quindi vanno evangelicamente perdonati. Personalmente, saremmo per condannarli a leggere qualche libro e a vedere meno televisione, ma si sa che queste cose non sono possibili in un paese ormai sanremizzato e senza speranza alcuna. Ma almeno quei genitori mostruosi, quel presentatore falso simpatico, quella giuria (con le gemelle Kessler! anni 74, cioè 148 in due), quel balletto di bambinelli che imitano le veline (anche loro innocenti, ma insomma c’è un limite anche all’innocenza), andrebbero sanzionati.

Erode, torna. Tutto perdonato.




 
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