Che bel romanzo questo film così ben raccontato che sembra quasi di non essere al cinema, di non dover fare i conti con dolly, camere a mano, steadycam, inquadrature, montaggi numerici, tecnicismi vari. Che bella commedia ben raccontata e splendidamente interpretata. Anche se proprio una commedia non è, o forse sì, nel senso classico del termine, che la vedeva correttrice di costumi attraverso il sorriso, interessata allazione di personaggi normali, meglio ancora se “bassi”. Proprio uno di loro, luomo piuttosto mite del titolo, è il protagonista di questa storia che potrebbe essere alta e tragica (comincia con un omicidio e con un altro si chiude), che tratta di detenzioni, paternità negate, solitudini, debiti da saldare, violenze domestiche, paure, malavita organizzata, vendette da portare a termine. Il tutto nel posto più deprimente possibile, una periferia norvegese invernale, tra caffè slabbrati, letti trasformabili, case popolari, cantine abitate, televisori mal funzionanti e un diffuso senso di frustrazione. E con un inizio che pare rubato ad altri film di questa Berlinale che ama molto i debutti carcerari. A volte con redenzione, più spesso senza speranza.
Una scena del film
Appesantito da dodici anni di galera e disorientato dalla fine della pena, Ulrik si lascia alle spalle il cancello del carcere con la raccomandazione del guardiano che lo incita a guardare avanti. Cosa non facilissima perché non ci si libera mai del passato, tanto meno se hai ucciso lamante di tua moglie e per i lunghi anni del carcere la tua famiglia è stata mantenuta da unassociazione non caritativa. Il passato in effetti si presenta assai presto, alla prima uscita al bar, sotto laspetto crudo e ricattatorio di un gangster dal dente doro e dal compare goffo come uno Steve Buscemi. Missione obbligata e perentoria: un omicidio su commissione. Nel frattempo il reinserimento è facilitato dallospitalità della sorella del gangster: una megera a poco a poco grottescamente trasformata dalla richiesta pressante di soddisfazioni sessuali a cui luomo gentile non si nega, come non si nega a rapidi recuperi con lex moglie e ad un nuovo promettente idillio con limpaurita contabile dellofficina nella quale ha trovato lavoro. E poi cè il figlio, da sempre trascurato ma ora recuperabile e in procinto di diventare a sua volta padre e di renderlo quindi nonno.
Mentre sta gustando la dolcezza della redenzione tutto gira di nuovo a rovescio: la nuora gli vieta qualunque contatto con il figlio, la contabile non vuol più vederlo e il gangster esige il saldo del debito con lassassinio di colui che lo ha denunciato. Ma un conto è uccidere per impeto, un conto premeditatamente, con un piano minuzioso. Con la consueta mitezza Ulrik cambia obiettivo, ucciderà il gangster e porterà la macchina di costui da uno sfasciacarrozze (con il criminale nel bagagliaio, ovviamente). Nella luce tersa del mattino, fumando una sigaretta con laddetto alla rottamazione, si rende conto che è in arrivo la primavera. La nottata sembra passata davvero.
Per fare di questo film una delizia erano necessarie una mano leggera e un attore formidabile. Hans Petter Moland riesce nel tocco felice che gli consente di non smarginare mai nel comico diretto (Kaurismaki non è passato invano). Ma è soprattutto Stellan Skansgard il vero artefice della piena riuscita: attore di caratura internazionale e feticcio di Lars von Trier (da Le onde del destino a Dogville, passando per Gus Van Sant e Spielberg) fa di questuomo senza qualità un personaggio memorabile, con humour, finezza, ironia. E forse con un leggero sberleffo al Dogma del suo Pigmalione. Se non avesse lhandicap di un pessimismo troppo sorridente, questo film ci sembrerebbe un ottimo candidato al podio (e il suo protagonista sul più alto gradino).
|
|