drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

La storia degli ultimi

di Marco Luceri
  L'uomo che verrà
Data di pubblicazione su web 02/02/2010  

Non è una forzatura affermare che Giorgio Diritti al suo secondo film può già essere annoverato tra i più importanti autori del cinema italiano contemporaneo. Se Il vento fa il suo giro (2005) è stato uno dei casi più interessanti degli ultimi anni (per il suo inaspettato successo di pubblico e per la sua storia distributiva), L'uomo che verrà non è solo una piacevole conferma, ma rappresenta anche un significativo balzo in avanti da parte di Diritti. Si sa, non è mai facile ripetere un primo e significativo successo e ancor più difficile superarlo, ma il regista bolognese ha trovato una propria strada, rigorosa e originale, e da quella non sembra aver intenzione di spostarsi. Ho l'impressione che abbia un grande rispetto del suo pubblico, oltre che di se stesso, per essere sfiorato dal pensiero di dover scendere a quella miriade di compromessi che il cinema (tutto, non solo quello nostrano) cerca sempre di imporre.

Ne L'uomo che verrà si respira sin da subito la potenza di una tradizione cinematografica tutta italiana, direi anzi settentrionale, che da Ermanno Olmi, passando per Mario Brenta e Franco Piavoli, arriva dritta proprio a Diritti, lungo la prolifica traccia di un'autenticità realista che non smette di riflettere sulla condizione umana, partendo da un vissuto quotidiano che alla Grande Storia inevitabilmente sfugge. Chi ha visto il pessimo film che Spike Lee girò in Toscana un paio d'anni fa, Miracolo a Sant'Anna, sulla tragica vicenda della strage di Sant'Anna di Stazzema, resterà sbalordito e frastornato, ma in positivo, della sensibilità con cui l'autore italiano, al contrario di quello americano, ha affrontato un tema assai spinoso come quello di un'altra efferata strage nazifascista, quella di Marzabotto.



E' la scelta del punto di vista che fa la differenza. Il personaggio principale del film è la dolce Martina, una bambina di otto anni, che vive alle pendici del Monte Sole, non lontano da Bologna, unica figlia in una famiglia di contadini che, come tante altre, fatica a vivere nel durissimo inverno di guerra del 1943. Alcuni anni prima Martina ha perso un fratellino di pochi giorni e da allora ha smesso di parlare. La mamma ora è nuovamente incinta e mentre i mesi passano nell'attesa della nascita del bambino, la lotta tra partigiani e nazifascisti si fa sempre più dura e cruenta, fino a quel terribile rastrellamento operato dalle SS che passerà alla storia come strage di Marzabotto.

Sin dal primo, lunghissimo piano-sequenza in soggettiva, Diritti scopre le carte: lo spettatore guarderà la realtà angosciante della vita contadina e della guerra dagli occhi increduli e curiosi di Martina. E' una scelta poetica e stilistica, questa, assai ardita, visto che il regista rinuncia così, già in partenza a prendere le parti dell'uno e dell'altro fronte. Non ci sono buoni e cattivi ne L'uomo che verrà, almeno fino alle sequenze finali della strage: da una parte ci sono le sanguinarie forze di occupazione («ognuno è il risultato dell'educazione che ha ricevuto» sentenzia l'ufficiale nazista nell'unico momento didascalico del film), dall'altra i partigiani, che pur di perseguire i loro piani di lotta armata non sembrano valutare con la dovuta cautela le conseguenze delle loro azioni sulla popolazione civile inerme. Sia gli uni che gli altri alternano momenti di fredda crudeltà a slanci di grande umanità (come nella scena i cui i giovanissimi soldati tedeschi offrono il pane ai contadini); in mezzo stanno Martina e tutti gli altri, per cui la guerra se appare all'inizio qualcosa di lontano o anche un'occasione per conoscere gli uomini e il mondo, ben presto svela il suo lato più feroce e disumano, laddove la vita di una madre e di un bambino valgono quanto il calcio di una pistola, ovvero niente.

Diritti è molto attento a non virare mai verso la rappresentazione oleografica di un dramma personale, tanto meno famigliare, ma opta per una messinscena che restituisce più che altro lo spirito di una precisa condizione di vita. Ci riesce in pieno, grazie a un ritmo lento e dilatato, che segue tutti i protagonisti nelle loro traversie, senza mai incanalarsi verso una narrazione che privilegia questo o quel personaggio. Il lavoro fatto sulla scelta degli attori si è dimostrato in questo senso vincente: alla professionalità di Maya Sansa, Alba Rorhwacher e Claudio Casadio ha affiancato uno stuolo notevolissimo di non-professionisti scelti per la valenza pittorica dei loro volti e per la perfetta adesione con i caratteri dell'umanità rappresentata; a ciò si aggiunge anche la scelta di un registro linguistico che li ha costretti a esprimersi in un ricercato e antico dialetto bolognese.


In questa vicenda corale, raccontata perciò appositamente dalla parte degli ultimi, di quegli uomini che la Storia la vivono sempre da spettatori inermi, traspare spesso la rappresentazione di un mondo perduto intriso di un senso del mito e del destino che non è solo un rifugio nella religiosità (il montaggio alternato tra le preghiere in chiesa e la battaglia sulle pendici della collina costituisce una tra le sequenze più forti e intense che il cinema italiano abbia mostrato negli ultimi anni), ma piuttosto nel sacro, come filtro attraverso cui vedere il mondo. La natura (che da' la vita e la toglie), tratteggiata con dei colori autentici e sinistri, è quella sempre uguale e millenaria di un tempo che scorre senza sussulti ed è per questo che l'irruzione dell'uomo in essa non può che essere percepita ancor più come uno strappo letale, un inspiegabile segno del crudele mistero della realtà stessa. Visti dagli occhi di Martina (di un'intensità davvero sorprendente l'esordiente Greta Zuccheri Montanari), gli eventi narrati acquistano così il valore di un'altissima testimonianza morale, consegnandoci, nella speranza finale che chiude il film, una mirabile sintesi del bisogno della solidarietà nelle convivenze umane e restituendoci la grandezza di tutte quelle "piccole cose che contano" nella vita di ogni giorno.

 

L'uomo che verrà
cast cast & credits
 






 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013