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Musica e pittura: Federico Barocci (1535-1612)

di Giacomo Villa
  Federico Barocci, Sepoltura di Cristo, 1579-1582, olio su tela
Data di pubblicazione su web 20/01/2010  

Appena conclusa, la mostra Federico Barocci (1535-1612). L'incanto del colore. Una lezione per due secoli, ospitata nei particolari e suggestivi spazi di Santa Maria della Scala a Siena, è stata un'occasione interessante non solo per fare il punto sugli ultimi studi critici sull'autore marchigiano ma anche per conoscere diffusione e fortuna, viva anche a distanza di secoli, delle sue opere in terra italiana ed europea. Una mostra che mantiene le promesse e illustra, in un percorso ben strutturato e coerente, gli apporti essenziali di Barocci alla pittura tardo cinquecentesca e manierista in Italia centrale; ben individuabili risultano nel percorso espositivo nuclei tematici che offrono la possibilità di ammirare opere di artisti diversi, il cui evidente debito nei confronti di Barocci si stempera nell'idea di “modello”, di “tradizione” pittorica che, partendo dalle tavole del maestro marchigiano, fu subito raccolta e personalmente elaborata.

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Da sinistra Federico Barocci, Annunciazione della Vergine, 1584-1588, acquaforte e bulino e Luca Ciamberlano (da Federico Barocci), Noli me tangere, 1609, bulino

Federico Fiori, detto Barocci (1535-1612) si colloca come uno dei pittori più significativi della fine del Cinquecento; nato a Urbino, dopo l'esperienza romana, che lo portò alla decorazione ad affresco della Casina di Pio IV, rientrò nel 1565 nella città natale, in cui si faceva ancora sentire l'influenza e di Raffaello e degli Emiliani, ma destinata ad una lenta ed inesorabile decadenza (nel 1632 la città sarebbe entrata a far parte dello Stato Pontificio). Le correnti riformatrici del sentimento religioso, rappresentate da una parte dalla Confraternita degli Oratoriani, che Barocci ebbe modo di conoscere nel periodo romano, e dall'altra dagli ordini dei Francescani e dei Cappuccini, a cui si accostò dopo il ritorno a Urbino, furono alla base della personale rielaborazione compiuta dall'artista di soggetti e temi sacri tradizionali. Se le atmosfere e le tinte delicate permettono di accostare il pittore a Correggio, se il tratto deciso dei disegni sicuramente è debitore della “scuola toscana”, è senz'altro l'uso e l'accostamento dei colori a contraddistinguere Barocci. I contorni delle figure vengono quasi annullati da un senso atmosferico, da una stesura cromatica vibrante e al tempo stesso delicata, consonante verrebbe da dire; la volumetria delle forme, quasi pesante, presente nella composizione armonica delle tavole, concitata nei tratti dei sinuosi e già barocchi panneggi di abiti e mantelli, viene stemperata nel gioco di luci quasi iridescenti e nelle ombre profonde (chiara è la lezione dei Carracci). Il risultato è un'armonia dolce, “sì come la melodia delle voci diletta l'udito, così ancora la vista si ricrea dalla consonanza de' colori, accompagnati dall'armonia de'lineamenti. Chiamava perciò la pittura musica”, come ebbe a dire il trattatista secentesco Giovan Pietro Bellori a proposito di Barocci (Vite de' pittori, scultori e architecti moderni, 1672).

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Federico Barocci, Stimmate di San Francesco, 1594-1595, olio su tela (particolare)

Il moto dell'animo si traduce in quello esteriore nella celebre Deposizione di Cristo dalla croce  della cattedrale di San Lorenzo di Perugia, databile 1567-69: i due punti focali dell'azione, la deposizione di Cristo e lo svenimento della Madonna in basso sono valorizzati dal contrasto tra luci e ombre e vengono uniti dal moto degli affetti, che si fa azione: le braccia spalancate, prospetticamente disposte, della pia donna, quelle decise, violente quasi, che si protendono a soccorrere Maria, il moto instabile e affascinante dell'uomo sulla scala che aiuta la discesa dell'esangue, pallido e incredibilmente iridescente, corpo del Salvatore. Questa opera, così come il Lamento su Cristo morto, sempre di Barocci, giocato sul colore delle vesti degli astanti in primo piano, sulla delicatezza e la precisione del disegno, immerse nell'ombra cupa di un improbabile arco alle spalle della composizione, sono messe in relazione ad opere di uguale argomento di pittori successivi, come i compianti su Cristo morto di Anton van Dick (1630), di Bernardo Strozzi,  l'eccezionale Lamentazione di Rubens (1601-1602) e la tenue Pietà del Cigoli (1595-1600).

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Federico Barocci, Fuga di Enea da Troia, 1598, olio su tela

Anche il tema mariano lega diversi autori più o meno coevi tra loro: la Visitazione della Vergine a santa Elisabetta (1583-1586) di Barocci si può accostare allo Sposalizio della Vergine (1584-1585) di Ludovico Carracci (mirabili i chiaroscuri pur nelle ridotte dimensioni dell'opera) o alla Presentazione della Vergine al tempio (1615-1616) di Domenico Fetti, portatrice, però, di un linguaggio ormai barocco. Interessante rimane l'esempio intimistico e familiare della Madonna del gatto di Barocci (1575), delicata rielaborazione del tema della sacra famiglia.

Una sezione particolarmente interessante è quella dei disegni. Dagli studi di Barocci ai disegni di Cristofano Allori e del Cigoli, fino all'eccezionale Studio di figura femminile di Pietro da Cortona, l'arte del disegno, visto come fase preparatoria di affreschi o di pale d'altare, è qui resa in tutta la sua perfetta esecuzione di tratto. Altra parte importante della mostra è sicuramente testimoniata dalle stampe tratte dai suoi dipinti, grazie alle quali la fortuna dell'artista si perpetuò nel tempo fuori dall'Italia e dalle incisioni di Barocci stesso, che perfezionò la tecnica dell'acquaforte, mediante un procedimento a morsure successive (si vedano l'Annunciazione di Barocci e il Noli me tangere di Luca Ciamberlano).  Le Stimmate di San Francesco, stampa che testimonia l'interesse dell'artista verso le correnti pauperistiche cristiane, viene cronologicamente poco prima della grande pala di identico soggetto, in cui la luce anima le vesti del santo e il paesaggio circostante; entrambe le opere furono a modello per opere di Ferraù Fenzoni, di Denijs Calvaert, fino al sognante Francesco dell'opera di Guido Reni.

La lezione di Barocci si nota nelle stampe delle sue opere: mirabile rimane l'esempio della Fuga di Enea da Troia (1598) dell'artista marchigiano, in cui il moto dell'eroe che si carica il padre Anchise sulle spalle è accentuato dal panneggio di un rosa vivace e bene si inserisce nella classica architettura che fa da sfondo; Agostino Carracci prima e poi Peter Paul Rubens ne trassero delle incisioni e dei disegni, testimonianza e ulteriore incentivo alla fama e diffusione delle opere di Barocci. Chiude idealmente la sezione la fedele stampa di Francesco Villamena databile ai primi del XVII secolo della Deposizione di Perugia del maestro marchigiano. Infine, i ritratti. Singolare e collocabile già nel nuovo secolo, il '600, il ritratto di fanciulla che Barocci finì nel 1575, conservato agli Uffizi, che alcuni critici considerano essere quello di Lavinia della Rovere, sorella minore del duca Francesco Maria II (il cui ritratto, prezioso gioiello di ritrattistica, di una precisione quasi miniaturistica, è ospitato anch'esso nella mostra); accanto a questo, gli studi e i disegni di teste femminili di Rubens e di Jean-Antoine Watteau, che portano l'eredità di Barocci fino ai primi del '700.

Ponderoso ma veramente ricco e interessante il catalogo, a cura di Alessandra Giannotti e Claudio Pizzoruso, edito da Silvana Editoriale, che raccoglie un nutrito numero di saggi sugli aspetti della pittura di Barocci e sulla sua fortuna ed eredità nei secoli successivi, insieme a puntuali ed agili schede sulle varie opere in mostra.




Federico Barocci (1535-1612). L'incanto del colore. Una lezione per due secoli

 

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Federico Barocci, Deposizione dalla croce, 1567-1569, olio su tela


 


 

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Peter Paul Rubens, Lamentazione, 1601-1602, olio su tela


 


 

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Pietro da Cortona, Studio di figura femminile, 1637, matita di grafite, matita nera e rossa


 


 

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Federico Barocci, Ritratto di fanciulla, 1575, olio su tela





 

 
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