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Il rifiuto della nostalgia

di Marco Luceri
  La prima cosa bella
Data di pubblicazione su web 18/01/2010  

Era nell'aria e questa volta le voci che si sono rincorse per mesi erano vere: Paolo Virzì ha realizzato il suo film più importante, quello più maturo e complesso. La prima cosa bella è infatti uno di quei film che da soli potrebbero dimostrare quanto il cinema italiano, nonostante tutte le difficoltà note a tutti, sia ancora vitale e potente e quanta ricchezza possa dimostrare nel momento in cui si confronta con la realtà viva del nostro Paese. Potrebbe sembrare un controsenso in un periodo in cui invece molti nostri autori stanno scivolando verso la nostalgia perenne degli anni passati (come è accaduto per gli ultimi film di Giuseppe Tornatore, Michele Placido, Sergio Rubini, Renato De Maria ecc. e come spiega molto bene Emiliano Morreale nel suo ultimo saggio, L'invenzione della nostalgia), ma l'ultima opera di Virzì riesce a rovesciare questo senso di "nostalgia", per l'appunto, attraverso uno sguardo lucidissimo sul presente. E' qui, innanzitutto, la forza del film. La vicenda raccontata si snoda lungo un arco temporale di circa quarant'anni e ha al centro Anna (Micaela Ramazzotti negli anni '70-'80 e Stefania Sandrelli nei giorni nostri), una bellissima giovane madre livornese su cui si accaniscono sguardi libidinosi e invidiose maldicenze. Intorno a lei si muove uno stuolo variegato di personaggi (il marito geloso, la sorella, il vicino di casa irreprensibile), tra cui spiccano i due figli, Bruno e Valeria (interpretati in età adulta da Valerio Mastrandrea e Claudia Pandolfi).

La struttura drammatica del film è costruita intorno alla figura di Anna, con un'attenzione particolare ai personaggi di Bruno e Valeria, che sin da bambini hanno subìto la personalità debordante della madre, capace di nutrire verso di loro un amore spiazzante e pericolosamente irresponsabile. Anna, innamorata della vita e del mondo, è un personaggio dalle molteplici caratteristiche, pronta a tutto pur di riuscire ad affermare la propria personalità, solo apparentemente ingenua; tuttavia la sua dimensione di madre non passa mai, per tutto il film, in secondo piano, anzi. E' proprio la necessità di dimostrare ai propri figli un amore incondizionato che la astrae spesso dalle realtà in cui si muove e che la porta a sottovalutare, questo certamente, le conseguenze delle proprie azioni. Virzì è abilissimo nel tenere le fila di questa traccia drammatica, riuscendo non solo con il montaggio alternato a unificare i due diversi momenti temporali del racconto, ma anche a presentarci la figura di Anna da più punti di vista. In questo senso, la protagonista ci è sempre presentata in maniera semi-soggettiva: ovvero al suo sguardo, alternativamente ingenuo e combattivo, corrisponde sempre quello dei figli, prima partecipe, poi problematico, alla fine apertamente ostile.


Bruno e Valeria sono due personaggi speculari: vivono diversamente le difficoltà della vita, hanno una reazione differente rispetto agli eventi della loro infanzia, fino a crearsi una sorta di disadattamento costante (uno è perennemente depresso e non lo nasconde, l'altra vive un rapporto coniugale insoddisfacente e cerca di rifugiarsi dietro una fasulla parvenza di perbenismo). Mastrandrea e Pandolfi riescono a rendere alla perfezione la dimensione psicologica dei loro personaggi a partire proprio dalla dimensione fisica: il primo trattiene la recitazione asciugandola in pochi, calibratissimi gesti e lavorando molto sulla dizione; la seconda alterna scatti d'impeto improvvisi a momenti di candida ingenuità. Virzì, che è oggi il miglior direttore di attori che il cinema italiano possa vantare, riesce in questo modo a tenere costantemente sveglia l'attenzione dello spettatore su questo rapporto madre-figli. Anche la prova delle due attrici che interpretano Anna è da vedere in maniera speculare; il regista dirige la Ramazzotti e la Sandrelli a partire da una dimensione "straniata" del personaggio: è chiaro infatti che Anna ci viene presentata come una sorta di summa delle più celebri parti interpretate dalla Sandrelli nella sua carriera, a partire proprio dalla ragazza fragile e vittima dei suoi sogni che è l'Adriana di Io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli. Lo sforzo della Ramazzotti è soprattutto quello di rendere credibile la sua parte senza richiamare lo stile dell'altra attrice, ma ammiccandovi maliziosamente, e stabilendo con essa un rapporto di indiretto interesse.



Il film ha poi un'altra protagonista ben visibile: Livorno. La città natale del regista è molto più di uno sfondo, ma pervade l'intera opera ed è qui che l'operazione-nostalgia "alla rovescia" funziona come elemento significante: la città non ha nulla a che vedere con il ritratto apologetico o mitico che ci si potrebbe aspettare, è anzi rappresentata nella sua dimensione peggiore, ovvero quella di un provincialismo gretto e piccolo-borghese di tanti personaggi avidi, invidiosi, volgari, stupidamente superbi, immancabilmente soli. La Livorno di Virzì è una città asfissiante, mediocre, da cui dover scappare a ogni costo, ma anche un luogo che con la sua forza negativa impedisce un totale distacco e una fuga definitiva. E' un posto che entra dentro i personaggi a ogni costo e ne influenza il comportamento anche quando lo si è lasciato da tanti anni (significativo in questo senso il bagno finale di Bruno, che equivale a un nuovo battesimo).

 

Quello offerto da La prima cosa bella è quindi un discorso sul presente, sebbene apparentemente nascosto dietro un'ambientazione d'epoca curatissima (i costumi sono della grande Gabriella Pescucci), fatta anche di celebri canzoni e di citazioni esibite (come la scena ambientata sul set de La moglie del prete di Dino Risi). La riconciliazione finale dei personaggi, che avviene durante l'ultima giornata di vita di Anna (si risposa e muore nella stessa mattina), che in realtà lascia tutti i nodi della vicenda irrisolti, avviene proprio nei giorni nostri. Quella carica di ansia, di sfiducia, di sconforto e di solitudine che sembra pervadere oggi il nostro Paese non viene né accantonata, né nascosta dietro un'assolutoria nostalgia. Viene invece attualizzata nel suo aspetto più lacerante, ma anche in quello più inaspettato, quello della gioia. La vicenda privata di questa famiglia diventa perciò, come nella migliore storia del cinema italiano, un ritratto senza tempo di tutti.

 

La prima cosa bella
cast cast & credits
 



La locandina


 
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