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Pinocchiazio

di Roberto Fedi
  Pinocchiazio
Data di pubblicazione su web 03/11/2009  

Accendendo la televisione domenica sera, 1 novembre, su RaiUno, qualcuno sarà rimasto sbalordito. E che ci fa la Littizzetto vestita di verde che parla con Fabio Fazio? O non era sul Terzo? E il Fazio è diventato un bambino con gli orecchi a sventola? Mistero. Cerchiamo di spiegarlo.

 

Occorre una premessa. C’è chi è cresciuto con il Pinocchio di Disney, del 1940, e chi con la splendida riduzione televisiva di Comencini, del 1972. Si spera che nessuno sia stato svezzato dall’orrendo Pinocchio cinquantenne di Benigni, del 2002, recentemente giudicato, con generosità, al terzo posto fra i cento film più brutti del decennio. Trascuriamo i cartoons giapponesi: eccoci a domenica sera (e al giorno dopo per la seconda parte). Siamo arrivati, cari amici, al terzo Pinocchio, diretto da Alberto Sironi. Che li fa rimpiangere tutti fuorché Benigni.

 

Il fatto è che un conto è mettere in scena l’unidimensionale Montalbano come ha fatto più volte e bene Sironi (sempre più stanco anche quello, a dire la verità: ma non per colpa del regista, bensì di testi appena decenti e di qualche vezzo d’attore di troppo), e un altro mettersi a lavorare su questo capolavoro pieno di sfaccettature. Il regista, debitore di Comencini, ha proceduto come per Montalbano: accurate scenografie e locations notevoli ma da set pubblicitario (qui Civita di Bagnoregio: ogni tanto ci si aspettava di sentire la musica del Mulino Bianco nel sottofondo), e un po’ di gente famosa come il bravo ma imbarazzatissimo Bob Hoskins e le onnipresenti (e a nostro parere insopportabili) Margherita Buy e Luciana Littizzetto. Poi Violante Placido che fa la Fata come se fosse in una televendita e con i capelli rossi invece che turchini (sai che invenzione), e un bambino inglese, Robbie Kay, simpatico e stop, e troppo visibilmente doppiato.

 

E la Littizzetto? È il Grillo parlante, anzi la Grilla. A qualcuno, si presume agli autori, sarà sembrato un colpo di genio. A noi no. La signora è anche brava, se a qualcuno piace (a noi no), ma sempre uguale a se stessa. Strilla al povero Pinocchio come a Fabio Fazio, con l’unica differenza che questo le obbedisce, e Pinocchio no (ci è più simpatico Pinocchio, ovviamente). Una pena, francamente, vederla sbucare da un cespuglio o da un sottoscala vestita di verde, con le antenne in testa come a Carnevale, e qualche cricrì d’accompagnamento francamente imbarazzante. Una banalità da far spengere la televisione.

 

E fin qui, pazienza. C’è comunque molto di peggio, in Tv. Ma ahimè qui gli autori hanno voluto la rilettura attualizzata del testo, che ovviamente rimescola le carte. E così il nuovo Pinocchio è una via di mezzo, stridente, fra lo pseudo-verismo e il fallimentare sforzo di rappresentare realisticamente la fiaba. Con le inevitabili ovvietà. Si rilegge la storia nel suo senso più banale, come un lungo avviamento alla vita adulta per Pinocchio, e come un’educazione altrettanto problematica alla paternità per il povero Geppetto. Troppo facile. In Collodi ad una prima parte realistica, in cui precipita come un miracolo il burattino parlante, fa seguito quella fiabesca, quindi irreale e quasi onirica, dopo l’apparizione della Fata. Qui invece la Fata entra in scena subito, svelando le carte di una storia tutta ‘al femminile’, in cui anche il Grillo come abbiamo detto è una Grilla, imbarazzante a vedersi. Si perde quindi il progress da una storia tutta ‘paterna’, di una paternità solitaria e mancata, fino alla ricerca onirica della madre da parte di un figlio che tale non è, e che non fa altro che disobbedire e fuggire: è lì che l’avventura del burattino è avventura allo stato puro, storia picaresca, eversione. In questa rielaborazione così didascalica e perbenistica, l’effetto generale è la noia. Una noia ben confezionata, ma sempre noia.

 

E infatti manca del tutto l’ironia. Appare anche una maestra, l’ansiosa Buy, che nel romanzo non c’è, e che sembra estratta da un De Amicis che avesse letto Freud; e scompare il congiuntivo: «forse allora è meglio che non vi dico niente del Grillo Parlante», dice Pinocchio a Geppetto.

 

Se lo avesse sentito il Grillo, quello vero, il martello a Pinocchio l’avrebbe tirato lui.

 




 
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