Tod in Venedig (Morte a Venezia) di John Neumeier è un balletto simbolico. Un balletto pieno di “correspondances” che arricchiscono il “senso letterale” di “sovrasenso allegorico” mettendo in scena – come dice Neumeier – “il tema della creazione, il piano dei concetti e degli abbozzi” che restano tali e danno origine ad una danza macabra. Una danza di morte che si risolve in una ‘increazione, rivelando il tormento dellartista, lacerato dal desiderio di creare e dallimpossibilità di farlo, e la sua sconfitta di fronte allopera che resterà incompiuta.
Ispirato alla novella Der Tod in Venedig di Thomas Mann e presentato al Teatro La Fenice di Venezia in prima nazionale dallHamburg Ballet, la splendida compagnia di Neumeier, il balletto riecheggia la vicenda di Gustav von Aschenbach, uno scrittore di successo in cerca di ispirazione per un lavoro sulla vita di Federico II di Prussia. Gustav, lasciata Monaco di Baviera, si reca a Venezia dove incontra Tadzio, un adolescente polacco, e resta colpito dalla sua bellezza. Nasce così una singolare intimità tra Aschenbach, simbolo di chi ha difficoltà a creare la bellezza, e Tadzio, emblema di chi la rappresenta senza sforzo, solo con la sua esistenza. Lambiguità della situazione rende lo scrittore ancora più inerte e limprovvisa irruzione di Apollo e Dioniso, personificazioni dello spirito apollineo e dello spirito dionisiaco nietzscheani, sconvolgono lanima del protagonista fino al tragico epilogo. La morte di Aschenbach sulla spiaggia del Lido di Venezia, forse per lepidemia di colera che ha colpito la città, mentre contempla il giovane Tadzio e lassoluta inafferabilità della vita e della bellezza. Neumeier nel suo Tod in Venedig, pur tenendo conto dellarchetipo narrativo di Mann e di quello cinematografico di Visconti, opera precise scelte registiche, musicali e coreografiche, firmando una pièce di indubbio valore artistico che conquista il pubblico della Fenice.
Innanzitutto Gustav von Aschenbach non è uno scrittore, e neppure un musicista come in Visconti, ma un famoso coreografo impegnato a ideare una balletto su Federico II di Prussia. La musica non è quella ‘viscontiana di Mahler ma lOfferta musicale di Bach e brani dal Tristano e Isotta e dal Tannhäuser di Wagner, ritenuti da Neumeier più adatti ad esaltare laspetto apollineo e dionisiaco della creazione coreografica. E questo senza contare che Bach compose lOfferta musicale dedicandola a Federico il Grande e Mann, nel periodo in cui soggiornò a Venezia, scriveva effettivamente un testo su Richard Wagner. Coincidenze che non sfuggono al direttore del Balletto di Amburgo, autore colto e raffinato che stimola lo spettatore a cogliere sottili richiami storici, letterari, artistici, dando unimpostazione allocutiva al suo lavoro.
La prima parte dello spettacolo si svolge in una sala prove dove, sullOfferta musicale di Bach, il coreografo Gustav von Aschenbach, uno straordinario Lloyd Riggins, è tutto preso dalla creazione su Federico il Grande. I “concetti” apollinei, incarnati da Alexandre Riabko e Carolina Aguero, e gli “schizzi” ovvero le idee, rappresentate da uno stuolo di ballerini e ballerine che si affollano nella sua mente e sulla scena, confermano lincapacità di dare vita ad unopera sul Re di Prussia. Gustav sa che manca qualcosa e non serve a niente lestremo tentativo di scendere in platea, cambiando prospettiva, e di seguire lo spirito dionisiaco incarnato da Otto Bubeníček in coppia con Carsten Jung. La coreografia “non quaglia” e lartista, in un crescendo di nervosismo, cerca di liberarsi della presenza di Federico il Grande, Ivan Urban, e de “La Barbarina”, la ballerina di corte di Anne Laudere, che insistentemente chiedono allautore di farli esistere come in un dramma pirandelliano. Ma non basta. Lassistente, unassillante Anna Polikarpova, e un ingombrante fotografo, Vladimir Kocić, soffocano il protagonista che rinuncia al balletto mentre il Preludio del Tristan und Isolde di Wagner sottolinea il furor imploso della creazione.
Limpossibilità ad accettare lo smacco si trasforma in unesigenza di fuga e Gustav si ritrova nella lussuosa hall dellHôtel Des Bain del Lido di Venezia in mezzo a coppie in fruscianti abiti da sera che si lanciano in sfrenati giri di valzer. Qui resta colpito da Tadzio, un esuberante ragazzino interpretato da Edvin Revazov, che corre dietro a una palla e lo ammalia con la sua bellezza. Una bellezza a cui fanno eco lo charme della madre, una elegante signora bionda, e il candore delle sorelline.
Hamburg Ballet
La seconda parte si sposta sulla spiaggia illuminata da una calda luce diffusa e animata da una gioventù spensierata e indolente che ricorda quella de Le Train Blue, il balletto creato da Bronislava Nijinska nel 1929 per i Balletti Russi. Gustav, in questa piacevole atmosfera marina, sembra ritrovare la voglia di vivere e la gioia di creare che si esprimono nel duetto con Tadzio, nellarrivo dei “concetti” apollinei Riabko-Aguero, nella presenza del duo dionisiaco Bubeníček-Jung e delle idee, il corpo di ballo, che riempiono il palcoscenico in una sorta di happening ‘bachiano-wagneriano per il presunto ritrovato estro e la speranza di una riconquistata gioventù. Convinto di poter ricominciare Aschenbach vuole ringiovanire e si affida alle sapienti mani di un barbiere che gli mette un parrucchino sulle note del Baccanale del Tannhäuser. Tutto però è inutile e alla fine la scena corale sulla Bourée da Bach dei Jethro Tull, suonata da un chitarrista infervorato, diventa una danza macabra e segna per il coreografo linizio della fine. Due intensi passi a due maschili sottolineano questo malinconico commiato: uno con Federico di Prussia e Aschenbach, laltro con questultimo e Tadzio accompagnati al piano da Elisabeth Cooper. E mentre Gustav si aggrappa disperatamente al giovane pupillo, questo simbolicamente fa un cannocchiale con le mani per guardare ad un futuro solo a lui concesso.
Rappresentato per la prima volta alla Staatsoper di Amburgo 7 dicembre 2003, Tod in Venedig di Neumeier resta impresso per la complessità drammaturgica in cui saltano agli occhi non solo le modalità espressive del “metateatro”, ma anche quelle della “metadanza” quando il coreografo osserva davanti a sé il divenire delle idee e dei “concetti” personificati. Senza contare il tributo al Tanztheater di Pina Bausch nella scena dellhall con i danzatori che parlano e si muovono alla maniera ‘bauschiana. E se la prima parte dello spettacolo pecca forse di lunghezza in quellindugiare sulla increazione poi però tutto fila liscio, la ‘lettura diventa sempre più facile e lo spettatore è via via catturato dallariosa eleganza dellallestimento di Peter Schmidt e dei costumi di Neumeier e dello stesso Schmidt, e dal tocco pianistico di Elizabeth Cooper.
Anche la danza come linguaggio del corpo e la coreografia come costruzione di un pensiero cinetico toccano lapice quando Neumeier fonde stile neoclassico e stile classico-contemporaneo per tradurre in movimento lo scavo emotivo o lassoluta astrazione dei personaggi. Tutti indistintamente eccelsi a cominciare dal Gustav von Aschenbach dellamericano Lloyd Riggins. Un danzatore “apollineo” e “dionisiaco” che rende visibile e credibile la lacerazione di Aschenbach e illumina uno spettacolo ‘doc, firmato da un maestro del balletto narrativo del Novecento e da un esperto di ‘regia di danza.
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