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O quante belle figlie...

di Giovanni Fornaro
  Re Lear
Data di pubblicazione su web 31/08/2009  

Il secondo titolo di questa edizione del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, lo sheakespeariano Re Lear trasposto in musica nel 1896 dal compositore di Godiasco Antonio Cagnoni, è una prima assoluta, non essendo mai stata rappresentata anche a causa della sopraggiunta scomparsa dell’artista.

Al di là della indubbia necessità di mettere a disposizione di addetti ai lavori e del pubblico più consapevole, anche grazie a ottime registrazioni dalla Dynamic, repertori poco frequentati o inediti (attività che è sin dall’inizio la mission del direttore artistico Sergio Segalini), spettacoli come questo strano Re Lear suscitano delle perplessità.

Perché strano? Si può definire brutto? La messa in scena è banale? La partitura non dice nulla alla prova dell’ascolto? I cantanti sono stonati? Nulla di tutto questo.
 



 

Eppure il dubbio permane. Certo, la tragedia di Shakespeare è una dei più difficili da mettere in scena, anche a causa di un ductus narrativo essenziale e lineare. Lo stesso Giuseppe Verdi, avendone già scritta la partitura, cercò invano di trovare un libretto che adattasse degnamente alla lirica il difficile testo del Bardo di Stratford-upon-Avon, per poi desistere, decidendo di riversare tutto nel Simon Boccanegra.

Il già anziano Antonio Cagnoni, evidentemente, trovò in Ghislanzoni il librettista adatto e scrisse l’ultima opera della sua vita accogliendo solo in modo frammentario i fermenti più vivi del periodo (come Wagner, Puccini) rimanendo, in fondo, ancorato alle esperienze italiane caratterizzanti il secolo, come Donizetti e, soprattutto Verdi, con risultati sicuramente inferiori alle sue opere meno “serie”, fra le quali il Don Bucefalo che l’anno scorso, sempre a Martina Franca, ha riscosso buoni consensi di pubblico e critica.

Per questa opera il plot è semplice: il vecchio re britannico Lear decide di abdicare in favore delle tre figlie, fra le quali intende dividere il regno, previo il dovuto atto di sottomissione a sua maestà. La prediletta Cordelia non sente di dover fingere una devozione totale e incondizionata, per cui viene diseredata e bandita dal regno.
 



 

Saranno le altre due sorelle a prendere il potere ed estromettere lo stesso re padre. Seguirà, infine, la loro sconfitta, nell’ambito del conflitto che contrappone Bretagna e Francia. Ma prima Cordelia perirà, seguita da Lear, distrutto dal dolore.

Tutto il materiale musicale è orientato per portare l’interesse al quarto e ultimo atto, dove finalmente la storia ha una catarsi tragica: si deve considerare che il libretto, rispetto alla matrice originaria, appare meno attento ai drammi interiori dei personaggi e semplifica un po’ troppo, dilatando lo sguardo e l’interesse verso momenti collettivi e pubblici.

In assenza di materiale musicale e drammaturgico di rilievo – Roberto Cognazzo, a proposito di Cagnoni, parlerà di “creatività occasionale” e di “assoluta superficialità nel rapporto col testo” – l’allestimento di Re Lear al Festival della Valle d’Itria (regia di Francesco Esposito) è interamente giocato su atmosfere oscure, in cui il grigio è il tono dominante sia nella scenografia (simbolicamente, una pedana circolare con un enorme e cupo specchio-monolito da un lato) di Nicola Rubertelli che nei costumi di Maria Carla Ricotti, davvero belli nella sobria austerità. 
 



 

I caratteri principali sono quelli di Cordelia (una precisa e “morbida” Serena Daolio) e di Edgaro, suo innamorato (il bravissimo tenore milanese Danilo Formaggia), protagonisti in duo o da soli di alcune buone pagine, mentre la crudele figlia-regina Regana è una figura negativa ma di spicco della vicenda, grazie anche alla capace resa, non solo musicale, di Eufemia Tufano, ormai un pilastro del Festival martinese. Sottotono è apparsa l’interpretazione del pur bravo Costantino Finucci nel ruolo del titolo, meno intensa e autorevole di quanto avrebbe richiesto nell’adattamento di Ghislanzoni, e una menzione particolare va a Rasha Talaat, soprano italo egiziano che non ha sfigurato nel difficile ruolo del Matto (già di Ottavia Piccolo nello storico allestimento del Lear streheleriano). Bene gli altri cantanti, fra i quali Serena Daolio (Cordelia, altra figlia-regina), Mebonia Vladimer (Conte di Gloster), Domenico Colaianni (Conte di Kent) e Mirella Leone (Gonerilla).

Buono il lavoro di concertazione – su partitura praticamente intonsa! – nonché di direzione di Massimiliano Caldi alla guida della Orchestra Internazionale d’Italia, molto applaudito dal pubblico a fine rappresentazione, così come per il Coro Slovacco di Bratislava diretto da Pavol Prochazka.

Re Lear



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