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Il tempo del sentire

di Anna Menichetti
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Data di pubblicazione su web 20/07/2009  

Non c’è dubbio: il Demofoonte di  Niccolò Jommelli è opera per palati raffinati. E’ lavoro di cesello armonico e melodico, elaborazione fine di dettagli in ogni sua componente. Orchestra tenuta sollevata come un velo di tulle – come il tulle dietro il quale si articolano le scene delicate di Margherita Palli – che vela e svela il gioco drammaturgico convenzionale dei buoni e dei cattivi, dell’amore, della rinuncia, dell’inganno; arie scolpite: il susseguirsi regolare di un battito cardiaco rassicurante dove il gesto, come si addice all’opera seria, è contenuto ed elegante, espressione di un illuminismo ricercato che consegna ai personaggi il tragitto lungo di un teatro musicale che nasce barocco e che, dopo oltre un secolo, ne conserva il tratto aulico e aristocratico: un gesto còlto dal regista Cesare Lievi nella limpida espressività del muoversi e del recitare. Arie e recitativi che sfilano perenni come evento inarrestabile: nella penna di Jommelli ognuno è nutrimento del successivo.                                      


                    

Ad ogni pezzo chiuso corrisponde un impulso, un lampo imprevisto: nell’aria «Non curo l’affetto » di Creusa, Jommelli raccoglie da Gluck e consegna a Mozart l’arte drammatica di “muovere”  il canto al suo interno; introduzioni strumentali ampie che ci tengono col fiato sospeso in attesa dell’aria (come in « Tu sai chi son, tu sai» sempre di Creusa) dove il suono si impone alla mente con squarci improvvisi, pre-romantici, e aperture immense di sonorità inaspettate; si vedano ancora « Il caso mio già noto» di Dircea e successiva aria «Se tutti i mali mie» che, ad ogni vocale, ha mille note dal tratto accorato inaudito;  recitativi accompagnati di fattura perfetta e ariosi colmi di effetti e di affetti come « Ah padre amato, non ti posso ubbidir» di Timante.  Jommelli sa che il testo metastasiano  è canto puro. E poi, tanto per ricordare,nel duetto finale del secondo atto « Che barbaro addio!» si capisce da dove proviene il Don Giovanni… E ancora altri gioielli come « Non odi consiglio» di Adrasto nel terzo atto e poco dopo Timante sostenuto dai fiati in un recitativo che va oltre ogni regola per la ricercatezza strumentale e gli umori vocali  precorrendo  la modernità del canto recitato. Scuola napoletana, scuola italiana: dopo l’intuizione e la volontà di Riccardo Muti di riportarla alla luce, finalmente tutti ora la rincorrono: felice idea! Perché non sarebbe stato possibile il lungo percorso del teatro musicale senza le grandi penne di quel periodo artistico.

                                                   

L’allestimento del Demofoonte – primo in tempi moderni, inaugurato al Festival di Pentecoste a Salisburgo e passato per l’Opéra Garnier di Parigi – si avvale dei bei fondali di Rinaldo Rinaldi: marine che riportano alla memoria le suggestioni di Salvator Rosa o le atmosfere, ora cupe ora incendiate, di Francesco Guardi; della struggente nostalgia di un tempo classico evocata dalle bianche e nude colonne sparse e rovesciate a terra per volontà di Margherita Palli; dei costumi, che suggeriscono ruoli e caratteri di Marina Luxardo realizzati dalla Sartoria Tirelli di Roma; delle luci, che muovono e scandiscono il tempo drammaturgico di Luigi Saccomandi. I cambi di scena avvengono a fondale abbassato, di fronte al quale l’interprete resta solo in proscenio, quasi a ricordare la vena popolare più sincera di questo genere teatrale musicale. Della seconda compagnia del 7 luglio, si devono sottolineare tre voci femminili di notevole spessore: l’intensa  Dircea di Barbara Bargnesi, Timante della bravissima Giacinta Nicotra, l’avvolgente Creusa di Auxiliadora Toledano. L’Orchestra Giovanile Cherubini, alla fine in mezzo agli applausi, scandisce a colpi serrati il bisillabo del Maestro chiamandolo in palcoscenico. Un’orchestra dal suono maturo e dal piglio mutiano con l’inconfondibile impulso dell’energia vitale: una pulsazione tenuta costante in una partitura difficile, sconosciuta e, come in gran parte del Settecento musicale, pericolosissima. Ma partitura gonfia di suono; teatro di suono.

 «Lasciarsi andare alle arie…» dice Muti. Una tecnica d’ascolto forse più ricorrente nel teatro antico e, ancora oggi, nel teatro orientale. Ormai si è perso da noi il piacere del consumarsi del tempo nel tempo. Ma è vero: Demofoonte è musica che allunga e amplifica il tempo del “sentire”.

 

Demofoonte



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