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Pigmalione in concerto

di Assunta Petrosillo
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Data di pubblicazione su web 13/06/2009  

Al Teatro San Carlo di Napoli, per il Napoli Teatro Festival Italia, è andato in scena il concerto dell’orchestra sinfonica del teatro e, a seguire, il libero adattamento de il Pigmalione di Jean-Jacques Rousseu ad opera di Manlio Santanelli, con la regia e l’interpretazione di Vincenzo Salemme.

Ad aprire la serata un raffinato concerto diretto dal maestro Giampaolo Bisanti su musiche di Luigi Boccherini con il concerto in Si bemolle maggiore per violoncello e orchestra (elaborazione di Friederich Grutzmachen), con la Sinfonia n.101 della pendola (o dell’orologio) in Re maggiore di Franz Joseph Hadyn; con Il flauto magico, overture K.620 di Wolfgang Amadeus Mozart. Al violoncello Luca Signorini.

Accompagnato dall’orchestra sinfonica, Vincenzo Salemme ha debuttato nel teatro partenopeo per eccellenza dando prova delle sue qualità attoriali, strizzando l’occhio all’alta scuola eduardiana.

La leggenda narra che Pigmalione, re di Cipro, appassionato scultore, s’innamora perdutamente di una sua creazione marmorea, l’effige di una giovane cui ha dato il nome di Galatea. Il re chiede ad Afrodite il dono di farla vivere per sposarla. La dea esaudisce la richiesta di Pigmalione. I due si sposano e danno alla luce un bambino di nome Pafo che costruirà un tempio in onore di Afrodite a Cipro.

 


 

L’opera breve di Rousseau nasce dal dibattito illuminista intorno alla natura della musica e del suo rapporto con la parola: l’autore, sostenendo l’inadeguatezza della lingua francese al canto, inventa una forma ibrida che giustappone pagine strumentali e recitazione. Le prime sono accompagnate da una pantomima, la parola viene declamata quando la musica s’interrompe. Nella versione di Rousseau, la natura prevale sull’arte. Galatea, la statua creata da Pigmalione, offende la natura per la propria bellezza inarrivabile e per quest’offesa la natura stessa la punisce  trasformandola in essere umano.

Santanelli – ricordandosi del libretto che aveva tratto Simeone Antonio Sografi per la musica di Gian Battista Cimador, rappresentata il 26 gennaio 1790 al San Samuele di Venezia – produce un testo che si contraddistingue per l’ironia tagliente, per un linguaggio ricercato e per un insolito finale che come afferma lo stesso drammaturgo partenopeo ‹‹accende una luce di speranza nei brutti…i quali d’ora in poi non si dovrebbero sentire discriminati soltanto perché non posseggono i tratti ideali per un calendario››.

Sulla scena si vedono: sulla sinistra, l’interno della bottega di Pigmalione con tre sculture scoperte ed una nascosta da un velo, un tavolo con qualche sedia, uno scalpello e un martello; sulla destra, l’orchestra sinfonica. Pigmalione (Vincenzo Salemme) si interroga sulla sua inadeguatezza nei confronti dell’arte e della bellezza, crede di aver esaurito la sua vena artistica, è tormentato a tal punto da nascondere sotto un velo la sua ultima creazione – una figura di donna che ha chiamato Galatea – per evitare di giudicarla e rintracciare in lei forme di imperfezione. Chiede aiuto al suo fedele e gobbo Cinabro (Antonio Guerriero), quasi come se parlasse con una coscienza altra da sé. Quando decide di svelare Galatea (Adele Vitale) – rimasta immobile fino a quel momento – s’innamora di lei. Il tormento d’amore, l’insonnia, l’ansia e l’irrequietezza di Pigmalione sono qui accompagnate dalle note dell’orchestra che segue l’affanno dell’attore in sincrono perfetto, quasi a sottolinearne lo spasmo. Il gioco musicale si alterna con citazioni dei più celebri melodrammi («Le belle forme che discioglievi dai veli», «Casta Diva», «Celeste Aida») e con canzoni di estrazioni popolare («‘O guappo ‘nnamumrato», «Bella senz’anima»). Ecco che Galatea prende vita, balbetta qualche parola, si alza e cammina nella bottega del suo creatore, e quando Pigmalione spalanca le braccia per accoglierla, lei sceglie il gobbo e deforme Cinabro, davanti all’incredulità dello scultore. Pigmalione allora pensa che l’unica via d’uscita è il suicidio. Paradossalmente lo stesso Cinabro gli porgerà lo scalpello – tra le risate del pubblico – e Pigmalione preso dallo sconforto compierà l’atto finale.

 


 

L’adattamento santanelliano offre una rilettura ironica e imprevedibile del mito attualizzando il dibattito sulla chirurgia estetica dei giorni nostri, schierandosi non dalla parte di chi utilizza  silicone e bisturi ma dalla parte di quelli che sono contenti di rimanere così come la natura li ha fatti: non belli…ma felici!

 

 

 

 

Pigmalione
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