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Due città a confronto tra topi, pesci ed uccelli rapaci

di Assunta Petrosillo
 
Data di pubblicazione su web 13/06/2009  

Nella suggestiva cornice del Real Albergo dei Poveri, per il Napoli Teatro Festival Italia, è andato in scena Le città visibili,  su testo del drammaturgo singaporiano Chay Yew e  con la regia di Giorgio Barberio Corsetti.

Il testo commissionato dal Napoli Teatro Festival in collaborazione con il Singapore Arts Festival è ispirato a Le città invisibili di Italo Calvino. Difficile trovare le affinità tra il testo teatrale e il romanzo ispiratore. Solo il titolo evoca qualche correlazione,  la storia allestita risulta diversa da quella raccontata nel romanzo.

Le città invisibili oscillano fra il racconto filosofico e quello fantastico-allegorico. Calvino immagina che Marco Polo, viaggiatore per antonomasia, presenti a Kublai Kan, imperatore dei Tartari, una serie di relazioni sui suoi viaggi in Estremo Oriente.  Non c’è traccia di realtà, tutto è mentale, perfino lo spazio ed il tempo sono rarefatti, astratti. Il testo di Yew, tradotto in italiano, è minimalista, ed è incentrato sul racconto di due storie d’amore speculari: una in Cina fra una cinese e un italiano e l’altra a Napoli fra un’italiana e un cinese. Le due storie intrecciano - attraverso le loro relazioni amorose - i problemi comuni delle due città in questione: malavita, sfruttamento in fabbrica,  falsificazione delle griffe italiane. Tutto vero, reale, visibile e non rarefatto ed astratto o invisibile!  Il testo di Yaw racconta i problemi attuali della Napoli martoriata dalla malavita, dei traffici di merce falsificata, così come di una Pechino che  fabbrica uomini alienati nel lavoro ed è corrosa dalla mafia cinese.

La regia di Barberio Corsetti - che sperimenta da molti anni un  linguaggio teatrale caratterizzato dalla proiezione di video e invenzioni scenografiche – fa largo uso della comunicazione visiva, relegando alla parola poco spazio. L’invenzione di una pedana girevole, pensata per il pubblico al centro dell’allestimento, desta curiosità ma stanca perché ripetitiva. Gli spettatori ruotano al cambio di scenografia da destra a sinistra e viceversa sotto un  cielo stellato e aerei in volo (quelli sono veri dell’aeroporto partenopeo!).

In basso in diverse location (che ruotano tutte intorno alla pedana) in un gioco poliedrico di specchi,  gli attori in versione zoomorfica – topi i lavoratori cinesi, pesci i cinesi immigrati in Italia e uccelli rapaci i malavitosi – sono ripresi contemporaneamente in video con effetti speciali. L’unica nota che rappresenta il fantastico è rintracciabile nella rappresentazione di Kublai Khan- nei panni di un gatto- e di Marco Polo – en travesti – innamorato del sultano, in un’ambientazione che ricorda il cartone animato firmato Disney Alice nel paese delle meraviglie. La recitazione cambia continuamente registro linguistico dal cinese all’inglese, all’italiano, ad aiutare lo spettatore due led posti ai lati del set con sopratitoli in italiano.

La pièce si chiude con la visione delle due donne - la cinese che impara la sua lingua nativa a lei sconosciuta e  la napoletana che impara il cinese –  che si allontano a braccetto. 



Le città visibili
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