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Un Pirandello carnevalesco

di Gherardo Vitali Rosati
 
Data di pubblicazione su web 25/12/2008  

È stato un gruppo di giovani attori a spingere Massimo Castri a tornare ancora una volta su Così è (se vi pare), un testo che lo accompagna da oltre trent’anni e che gli valse, nel 1980, il premio Ubu per la migliore regia. Chiamato a dirigere un corso di formazione promosso da Emilia Romagna Teatro, il regista ha ritenuto questa pièce particolarmente adatta alla didattica scegliendola poi per lo spettacolo che da oltre un anno sta andando in scena nei teatri di tutt’Italia. Dopo aver a lungo lavorato su Pirandello, Castri ha anche teorizzato il suo pensiero in Pirandello Ottanta (Ubulibri, 1981). Sono state dunque molte le occasioni che gli hanno permesso di scavare in questi celebri testi, non fermandosi a quel che mostrano in superficie, ma cercando quel che nascondono. E se Così è (se vi pare) viene dichiarata nel sottotitolo Parabola in tre atti, il regista non vuol fidarsi di quanto dice l’autore e si sofferma su “alcune tracce sospette” presenti nel testo. Cerca di indagare certi atteggiamenti dei personaggi al di là della loro funzione all’interno del filosofema pirandelliano.

Nella commedia si possono individuare due gruppi: da un lato il Terzetto costituito dalla signora Frola, il signor Ponza suo genero e la signora Ponza, che arrivano in città dopo che un terremoto ha distrutto il loro paese, dall’altro i concittadini, terribilmente incuriositi dal comportamento dei nuovi arrivati: il signor Ponza rifiuta infatti di ricevere la suocera in casa. Nascerà una vera e propria inchiesta, con ripetuti interrogatori dell’anziana signora e del genero, che però non serviranno a far luce sulla situazione.  L’uomo sostiene che la figlia della signora Frola è morta da quattro anni, e la donna che vive con lui è la sua seconda moglie; l’altra afferma che tutta questa storia è solo il frutto della follia del genero. Secondo il teorema pirandelliano – espresso per bocca di Laudisi – non c’è modo di conoscere oggettivamente la Verità: alla fine della commedia sarà la stessa signora Ponza a confermarlo, dicendo di essere “la figlia della signora Frola e la seconda moglie del signor Ponza”.

All’inizio degli anni Ottanta, Castri propose una soluzione al paradosso: la signora Ponza potrebbe dire la verità, se la prima moglie del signor Ponza fosse proprio la signora Frola. Ma nel riprendere in mano la commedia, Castri non è voluto tornare su questo aspetto (peraltro sviluppato anche nell’edizione televisiva del 1990) e si è soffermato su un altro punto: la coralità della commedia e la sua metateatralità. È stato il lavoro con il gruppo di giovani che gli ha dato “l’occasione di affrontare il testo in maniera più collettiva e giocosa”. Come nei Sei personaggi in cerca d’autore, per Castri, il succitato Terzetto reciterebbe la propria parte davanti ai crudeli e curiosi compaesani-spettatori.  Che si mostrano quindi come un unico e compatto pubblico. Di qui una serie di soluzioni sceniche: sul finale della commedia, con l’incalzare del ritmo dell’inchiesta, i personaggi si disporranno tutti intorno al palco, per osservare lo spettacolo offerto dal signor Ponza e dalla signora Frola, che concluderanno con un inchino la loro scena. In seguito, l’intero Terzetto uscirà di scena con fare teatrale, con una passerella in mezzo alla platea.

Questa soluzione di Castri trova una buona risposta nei giovani attori, sempre in perfetta sincronia nei dialoghi e nei movimenti. Disegnano precise coreografie e trasformano spesso il testo in uno spartito musicale, alternando acuti e bassi con sapienza e disinvoltura e riuscendo ad intrecciare perfettamente le loro battute. Ma il regista interviene con decisione anche nell’incipit della commedia, ambientandolo in una festa di carnevale. Se queste soluzioni hanno certamente il merito di accelerare il ritmo dello spettacolo e di sottolineare alcune tematiche del testo, la proposta di Castri sfocia in una recitazione eccessivamente marcata.

L’ambientazione carnevalesca, infatti, viene protratta per tutta la rappresentazione. Il regista compatta luoghi e tempi in un unico blocco, cosicché i personaggi mantengono il loro bizzarro trucco da clown e la sala rimane addobbata con coloratissimi festoni. In quest’atmosfera il teorema filosofico di Laudisi, secondo cui non esiste una verità oggettiva, viene detto in mezzo al baccano festoso: il poveretto è dunque costretto a marcare le sue parole con toni e movimenti eccessivi, che non riescono ad alleggerire il non facile passaggio testuale. Il teatro nel teatro suggerito da Castri spingerà anche gli altri personaggi a simili eccessi: a partire dal Terzetto centrale. Se le motivazioni della regia risultano affascinanti, va detto che la realizzazione finisce per risultare stancante. Anche se il cast, in certi casi, si dimostra di ottimo livello. A partire da Diana Hobel, una signora Frola che dà prova di tutte le sue abilità tecniche, soprattutto vocali. È certo anch’essa eccessiva nel marcare ogni battuta e nel “cantare” il suo testo, ma riesce a farlo in maniera unica, dando prova di una vasta gamma vocalica e di ottime capacità fisiche. La sua Frola è china quasi fino a terra, la sua voce è spesso acuta ma si alterna con bassi profondi:  la Hobel riesce – a momenti – a conciliare questo paradossale personaggio persino con un tocco di naturalezza.

Bravo nel caricaturale, ma certo in questo eccessivo, è invece Marco Brinzi (il signor Sirelli). Il suo personaggio ingobbito, con le mani rattrappite e le gambe sempre piegate diventa una vignetta ben fatta ma che resta immutabile per l’intero spettacolo, finendo per perdere di vitalità. E anche il signor Ponza (Pietro Faiella) è troppo schiacciato nel suo ruolo di uomo autoritario, incapace di mostrare le doppiezze del misterioso personaggio. Il Lamberto Laudisi di Michele Di Giacomo risulta meno insopportabile di quanto potrebbe essere (nella messinscena televisiva Castri aveva avuto l’intuizione di introdurre una pistola, che uscendo dalle quinte, uccideva il pedante filosofo). L’attore è ironico e i virtuosismi di cui dà prova lasciano sempre posto al sorriso.

Fra gli altri, pochi riescono a introdurre elementi che alleggeriscano i loro marcatissimi personaggi. Nella maggior parte dei casi il “coro” appare come un insieme di figurine urlanti che dopo un po’ esaurisce la sua pur interessante funzione, iniziando a ripetersi. Castri e i suoi attori lavorano sul carnevalesco e sul metateatrale, danno una forma coerente a una lettura del testo che non si ferma alla sua apparenza di Parabola filosofica. Ma i molti liceali in sala finiranno per convincersi che il teatro sia il luogo dell’eccesso e della caricatura, i cui personaggi hanno ben poco in comune con loro. Un luogo deputato ai versi eccessivi e ai ragionamenti intellettualistici, più vicino alle noiose lezioni di scuola che ai momenti di arricchimento e piacere che andranno forse a cercare da qualche altra parte (quale?).

 



Così è (se vi pare)
cast cast & credits
 



 
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