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Il vuoto in scena

di Gabriella Gori
  Una scena dello spettacolo. Foto di Dario Lasagni
Data di pubblicazione su web 15/12/2008  

L’impatto con gli spettacoli di Virgilio Sieni è sempre forte perché questo “geniaccio” della danza italiana ha ogni volta il dono di stupire lo spettatore, che resta colpito dalla complessità non banale dei suoi spettacoli. E tale assunto non si smentisce neppure per La natura delle cose, l’ultima creazione del coreografo fiorentino andata in scena in prima assoluta al Fabbricone di Prato e tratta dall’omonimo capolavoro di Lucrezio, il poeta latino vissuto nell’età di Cesare e autore di un poema sulla natura delle cose ispirato alla filosofia di Epicuro. Virgilio per dare ‘corpo e anima’ al suo progetto, di cui lui firma regia, coreografia e scenografia, si avvale della collaborazione alla drammaturgia del filosofo Giorgio Agamben, traduttore anche dei passi lucreziani, delle musiche originali di Francesco Giomi, della presenza della Compagnia Virgilio Sieni Danza e del contributo di Nada Malanima, splendida voce recitante al suo debutto nel teatro di danza.

 

In questo lavoro si assiste alla riuscita messinscena del vuoto, l’inane  in cui gli atomi, aggregandosi e disgregandosi, danno origine agli elementi in base al principio epicureo che “nulla nasce dal nulla” e la danza – come dice Virgilio - “arriva a definire una poesia fisica” mostrandosi in tutta la sua potenza di scienza poietica, capace cioè di riprodurre visivamente il processo materico. Un processo che per Sieni prende le mosse, come nel II libro del De rerum natura di Lucrezio, dall’inclinazione spontanea – clinamen – dei semina rerum, che in punti imprevedibili deviano dalla traiettoria e nell’urto generano corpi visibili. E per Virgilio il clinamen coincide con l’idea stessa del movimento che parte, finisce e ricomincia nella figura di Venere, simbolo della voluptas epicurea e dell’inesorabile fluire agrodolce delle cose, sempre in bilico tra nascita e morte, delizia e orrore, aggregazione e disgregazione.  


Una scena dello spettacolo
Una scena dello spettacolo. Foto di Dario Lasagni

 

In un ambiente ovattato, protetto dal biancore delle luci di Sieni e di Corrado Mura e da pallidi velari, il pubblico assiste ad una sorta di liturgia della creazione segnata da tre scene in cui  capeggia la figura di Afrodite, prima adolescente, poi bambina e infine anziana. Tre età raffigurate da altrettante impenetrabili maschere di gesso indossate da Ramona Caia e accompagnate dalla suadente voce di Nada che, fine dicitrice degli esametri lucreziani, arricchisce questa Natura ‘seniana’ con l’emblematico verso “Improvvisamente mi afferra una divina letizia e, insieme, l’orrore”, coinvolgendo emotivamente e visivamente lo spettatore. E’ infatti impossibile non essere coinvolti da questa pièce ‘filosofico-coreutica’ e dalla raffinatezza di Virgilio nello scegliere temi inesplorati, nel fare affidamento su interpreti preparati, nel riuscire a realizzare allestimenti originali, anche se resta un autore non facile, a tratti concettoso e un po’ ripetitivo.

 

Momenti felici in questa fabula non mancano a cominciare dalla scena in cui, per rappresentare il movimento degli atomi nello spazio vuoto, Venere-adolescente resta sospesa nelle mani di quattro partners che la sollevano, la rigirano, la spostano, e alludono, impedendole di toccare terra, al moto sospeso dei primordia rerum. Oppure il modo in cui Sieni, ricollegandosi alla concezione lucreziana dell’amore vittima dei “simulacra”, affida a Venere anziana il compito di ribadire l’illusorietà di questo sentimento. Originale è anche la scelta di far indossare a Ramona Caia, esile e fragile danzatrice vestita per l’occasione da Geraldine Tayar, le pesanti maschere-volto di Adriano Laruccia. Quella incorniciata da biondi capelli per la Venere adolescente in maglietta rosa acceso e pantaloncini bianchi, quella rasata di un bambolotto tipo Ciccio-Bello per la Venere bamboccio in girocollo rosso e pantaloni neri, quella rugosa e con chiome grigio-argento per la Venere vecchia in luccicante abito da sera rosso. Un voluto contrasto che sottolinea la cinesi involuta dell’adolescente, quella posturale della bambina che cammina eretta nella seconda, quella lenta della vecchia, pronta a morire e a rinascere per rinnovare il ciclo materialistico della “macchina mondana”.

 

Anche la danza, di matrice contemporanea ma aperta alla contact improvisation e alla capoeira, scorre veloce e leggera per rendere il clinamen dei “corpi primi” con movimenti ora franti e continui, ora lenti e veloci, ora lineari e rotanti, ora in aria e a terra, tutti ben eseguiti dalla più che brava Ramona e dagli altrettanto bravi Massimiliano Barachini, Jacopo Jenna, Csaba Molnar, Daniele Ninarello, non solo ‘porteurs’ ma anche protagonisti di un intenso e convincente quartetto maschile.

In questa ultima ‘fatica’ di Virgilio restano però sospesi alcuni passaggi che, invece, avrebbero necessità di toccare terra per essere compresi appieno. Non è chiaro ad esempio il significato della comparsa nel prologo di una testa di cavallo, che spunta dal velario centrale, e nell’epilogo di un enigmatico cervo dalle lunghissime corna, che sparisce strisciando sotto il velario laterale.Senza contare l’apparizione, peraltro altamente suggestiva, di un’enorme mano sul fondo che nel movimento delle dita vuole forse alludere al pulviscolo atmosferico del vuoto, e la ripetitività di certe sequenze nelle tre età di Venere. Aspetti che comunque non inficiano, o inficiano solo in parte, la Natura delle cose di Virgilio Sieni, che in questo cimento si conferma il “geniaccio” della danza italiana.









La natura delle cose
regia di Virgilio Sieni
cast cast & credits
 



 
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