E il 1946 quando lAssemblea Costituente discute sui temi della famiglia e sui figli nati fuori dal matrimonio: esito del dibattito sarà il diritto/dovere dei genitori di tutelare anche i figli nati fuori dal matrimonio. Solo dieci anni più tardi, però, verrà abolita la terribile espressione “figlio di N.N.”. Ed è proprio in quellanno che il genio di Eduardo porta in scena il dramma dei figli illegittimi e, come solo lui sa fare, lo dipinge con quella profondità, impastata di leggerezza, che continua a spiazzare lo spettatore. Il testo è portato in scena dalla compagnia di teatro di Luca de Filippo, caso raro del teatro italiano di figlio che ha saputo misurarsi con la pesante eredità paterna senza esserne completamente annichilito.
Filumena e Soriano. Foto di Matteo De Filippo
La vicenda è nota: la protagonista è una ex-prostituta tolta dai postriboli da un ricco borghese napoletano, Domenico Soriano, che, da venticinque anni, la mantiene, come amante, in casa propria. Il sipario si apre su una furiosa discussione tra i due: Filumena ha infatti finto di essere in fin di vita per farsi sposare da Soriano. Egli, innamorato di una giovane infermiera, decide di impugnare il matrimonio e di liberarsi così definitivamente della vecchia amante. A questo punto Eduardo introduce il geniale colpo di scena: la donna confessa di avere tre figli, tenuti nascosti per trentanni, e che uno solo di questi, ma non dice quale, è di Soriano. Egli cerca di scoprire, inutilmente, quale dei tre sia suo. Inevitabilmente cederà alla determinazione che solo le madri possono avere e riconoscerà tutti i tre giovani come figli suoi. Confrontandosi con la maternità frustrata di Filumena, Soriano rielabora la sua relazione con la donna che lha accompagnato per una vita e si arrende al profondo sentimento damore che li lega, sposandola in un commosso lieto fine bagnato dalle lacrime alle quali Filumena non si è mai potuta permettere, fino ad ora, di cedere.
Luca De Filippo è Matteo Soriano. Foto di Metteo De Filippo
Lallestimento gode della regia asciutta ed esperta di Francesco Rosi che lascia la Napoli colorita e verace lontana dalla scena, relegata allorizzonte, dietro gli archi di una grande terrazza, sul fondo del palco, creata dallo scenografo Enrico Job, mancato da pochi mesi. Ma Napoli cè, e si vede: la si riconosce nella sanguigna vivacità delle protagoniste femminili - abilmente incarnate da Lina Sastri (Filumena) e da Antonella Morea (Rosalia) - nella controllata gestualità di Luca de Filippo, e del suo personaggio Domenico Soriano, che affascina il pubblico richiamando uomini daltri tempi. La commistione di tragico e comico su cui la vicenda è costruita riesce a portare sul palcoscenico il sentimento senza alcuna finzione. La regia infatti asseconda il testo e non azzarda letture innovative o sovrastrutture interpretative - vano sarebbe stato comunque il tentativo - ma misura i toni vivaci dei dialoghi ed orchestra un cast di attori eccellente. Il costume con cui appare in scena Lina Sastri, richiamando alla mente la nota immagine di Regina Bianchi - una delle storiche interpreti di Filumena con Titina de Filippo e Pupella Maggio - e la straordinaria somiglianza di Luca con il padre, che non si appiattisce mai su una mera imitazione, riportano nel solco di una feconda tradizione lallestimento del testo che non sente sulle spalle il peso dei suoi sessantanni.
Il teatro, gremito, ascolta concentrato ogni parola, attratto soprattutto dalla intima napoletaneità di Filumena, adeguatamente caricata da Lina Sastri, a cui fa da contraltare la misurata parola di Luca de Filippo che quasi rifugge il ruolo di coprotagonista, sembrando addirittura sottotono in alcune scene del secondo atto. Sottotono che però prepara il terreno alle ultime battute della commedia che gli regalano gli applausi scroscianti riservati ai grandi interpreti: “Ti sei messa paura…hai corso...sei caduta…ti sei alzata…ti sei arrampicata…hai pensato, e il pensare stanca…Adesso non devi correre più, non devi pensare più…Riposati. I figli sono figli e sono tutti uguali. Filumè, hai ragione tu”.
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