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Un americano a Firenze

di Gherardo Vitali Rosati
 
Data di pubblicazione su web 10/12/2008  

L’immenso palco del teatro è quasi vuoto: al centro della scena, Tomáš Kubínek è un puntino che si vede appena dalla prima galleria. Nato a Praga ma cresciuto in Canada, questo artista formatosi con le arti del circo e della magia sostiene di recitare spesso in sale assai più grandi rispetto al fiorentino Saschall (ex Teatro Tenda, è una delle sale più capienti della città), anche se sottolinea che si tratta di spazi con una diversa architettura: sono i grandi teatri di varietà nordamericani. Si presenta e introduce i suoi numeri leggendo qualche frase in italiano, spesso chiede a qualche spettatore di tradurre quel che dice in inglese. Non parla la nostra lingua, e questo frena la riuscita del suo spettacolo, rendendolo costantemente bisognoso di un  aiuto esterno, sia esso un foglio o un improvvisato traduttore.

Potrebbe essere interessante lo spettacolo di Kubínek: un ottimo contorsionista che sa condire con una sagace ironia le sue performances, ma i suoi movimenti risultano per lo più invisibili se non al pubblico delle prime file, e quel che dice è spesso incomprensibile, cosa che lo spinge a ripetere più volte le sue frasi, che finiscono così per perdere molta della loro forza. Questo performer giovane e sognatore, con gli occhi che brillano come quelli di un bambino, scende in mezzo al pubblico, coinvolge gli spettatori nei suoi numeri acrobatici, fa apparire strani oggetti nelle borsette delle signore. Il suo show ricorda molto il lavoro degli artisti di strada: ama rivolgersi direttamente al pubblico, fa molte domande, cerca una relazione. 

E su questo potrebbe basarsi il suo spettacolo: ma dei duemila spettatori del Saschall solo qualche decina riesce realmente a seguire i suoi movimenti, ad apprezzare la sua mimica, a capire i suoi giochi di parole. Il resto dell’uditorio partecipa solo a metà, magari ripetendo le parole che questo Lunatico certificato & maestro dell’impossibile – questo il titolo dello spettacolo – scandisce dal palcoscenico. Senza riuscire a vedere quella sua straordinaria capriola all’indietro con un calice di vino sulla fronte e un chitarrino dietro la schiena, ma riuscendo poi ad ammirare il suo lento decollare in cielo con due ali di carta, assicurato a un cavo d’acciaio tramite una evidente imbracatura.

Kubínek non cerca soltanto di sbalordire con numeri difficili tecnicamente: vuol far ridere, e ci prova indossando questo mutandone che gli permetterà di volare mentre dice «per questo numero ringraziamo il nostro sponsor: Intimissimi». Le sue battute raramente hanno un senso profondo, si tratta in genere di banalità, destinate a suscitare una immediata ilarità, ma senza lasciare alcuna traccia. Per questo, forse, sarebbero più appropriate ad una grande piazza piuttosto che a un teatro. Anche se è nato a Praga e ha girato oltre trentacinque paesi, la sua comicità fatta di battute che vorrebbero essere graffianti, pare molto segnata da uno stampo americano, che ricordano il  Late Show di David Letterman. Complici la lingua, il teatro, le diverse abitudini degli spettatori di continenti lontani, il tanto annunciato spettacolo di Kubínek non risulta innovativo e coinvolgente come ci si sarebbe aspettati dopo aver potuto ammirare, da vicino, alcuni dei suoi numeri. 



Lunatico certificato & Maestro dell'impossibile
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