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Quel che resta del teatro, e di un maestro

di Gherardo Vitali Rosati
  Miriam Goldschmidt
Data di pubblicazione su web 28/10/2008  

È ormai da molto che Peter Brook si interroga sul senso della vita e del teatro con domande dirette. Almeno da quando, lasciata Londra per l’allora più accogliente Parigi, girava il mondo con il suo Centre Internationale de Recherches Théβtrales, incontrando tribù africane, rivoluzionari messicani e saggi orientali. Allora la sua sete di un teatro rinnovato andava di pari passo con un’indagine più globale, che conduceva attraverso gli incontri con i discepoli di Gurdjieff – il mistico armeno, scomparso in Francia dopo la seconda guerra mondiale – e altre personalità. Una volta – racconta nella sua autobiografia, I fili del tempo – Brook si inventò una complicata metafora per porre a un noto sapiente una domanda sul senso della vita: gli era sembrato opportuno parlare di “casa” anziché di “vita” e i cedimenti strutturali dell’edificio servivano ad indicare i problemi dell’anima. Ma il grand’uomo non capì, e rispose semplicemente di rivolgersi ad un idraulico.

Nel suo nuovo spettacolo appena giunto in Italia (dopo avere debuttato alle “Vie dei Festival” di Modena, ha poi inaugurato il teatro Era di Pontedera) il regista non corre certo il rischio di non essere capito. Già nel titolo chiede Warum warum, un perché generico rivolto alla vita, alle incomprensioni fra gli uomini e al Teatro. A interpretare il testo scritto dallo stesso Brook insieme a Marie-Hélène Estienne – la drammaturga che da qualche anno ha sostituito Jean-Claude Carrière al suo – è Miriam Goldschmidt, che entrò nell’eterogeneo gruppo con sede a Parigi fin dagli inizi, partecipando a spettacoli come Timone d’Athènes (il primo realizzato col CIRT) e il più noto Mahabharata. Accanto a lei Francesco Agnello – un più giovane artista italiano – suona uno strumento affascinante e sconosciuto: si chiama hang, è metallico, di forma rotonda e aspetto orientale. In realtà è stato ideato e realizzato in Svizzera e presentato alla fiera di Francoforte nel 2001.

Peter Brook
Peter Brook

 

In un palcoscenico completamente spoglio – ci sono una sedia e un carrello che simboleggia una porta – la Goldschmidt interroga se stessa e il pubblico con domande che non possono trovare risposta. Non molto diversamente Yoshi Oida – altro attore storico di Brook – aveva impostato il suo Interrogations, lo spettacolo che nel 2006 inaugurò il neo-ristrutturato Bouffes du Nord. Con la differenza che le Interrogazioni di Oida si ispiravano al mondo Zen, mentre quelle di Brook a grandi nomi del teatro come Zeami, Shakespeare e Meyerhold. E, apprendiamo dalla scheda distribuita all’entrata, Warum warum vorrebbe ricomporre in scena la vita dell’artista russo. Cosa che non si evince facilmente dallo spettacolo. Camminando per il palcoscenico, Miriam Goldschmidt sviluppa le sue riflessioni arricchite con esempi riusciti. Fra questi la divertente imitazione di un’attrice che cerca di rappresentare la paura o di imparare ad entrare e uscire dalla scena. Dal teatro si passa spesso a concetti più alti, arrivando fino a parlare di Dio e delle sue reazioni davanti ai continui litigi degli uomini.

Rispetto agli ultimi spettacoli firmati – non dico “diretti”, perché se il nome su manifesti e locandine è una certezza, nulla ci informa sull’effettiva presenza di un regista ormai ottantatreenne, che si vede poco in giro e non rilascia mai interviste – Warum warum è ancora più minimalista e essenziale. Dopo la sua Tragédie d'Hamlet, sono andati in scena spettacoli con uno o due personaggi, di un’ora circa, con pochi elementi scenografici. Ma sempre – mi riferisco a Sizwe Banzi est mort, Fragments, La mort de Krishna, Ta main dans la mienne, Le grand inquisiteur – queste opere di piccole dimensioni, si basavano su una drammaturgia forte, da cui scaturivano azioni teatrali ben ritmate e allestite con scenografie mai opulente ma ancora esistenti.

Adesso va invece in scena una lunga riflessione, certo proposta da una grande attrice, che abbandona i canoni teatrali finora seguiti. Non vi è dialogo né narrazione, il testo – nel quale ci si scaglia con ironia contro le idee conservatrici sul teatro – ha forme e struttura diaristiche. Non vi è dunque finzione, e l’attrice è vestita con un abito elegante, non con un costume di scena. Questa Nuova ricerca teatrale (così recita il sottotitolo) del regista inglese si rivela però molto debole. Non vi è una tensione che possa mantenere acceso l’interesse del pubblico; ascoltando le parole dell’attrice si fatica a seguire il suo discorso, che non ha alcun filo logico, ma cambia continuamente argomento. D’altronde Brook non è certo il primo a proporre una drammaturgia “non teatrale”, adesso tanto cara agli autori francesi (fra gli altri, cito la Lettre à un directeur du théβtre, dove Denis Guenoun propone come testo teatrale una sua lettera in cui si concentra sulla teoria del teatro). Né le domande che pone potranno sconvolgere i teorici del teatro (che comunque potranno confrontarsi con i suoi numerosi scritti teorici) e tanto meno i filosofi.

È certo un peccato che un sì gran maestro proponga spettacoli che non possono che annebbiare la sua figura. Dopo aver diretto lavori innovativi e sfidato il teatro dell’epoca, Brook parrebbe aver cambiato completamente punto di vista, passando a rappresentare “prodotti” di piccole dimensioni e facilmente esportabili. Le male lingue francesi sussurrano che sia il suo entourage a suggerire queste operazioni commerciali, spinto da interessi personali. Preferiamo dunque credere ai pettegolezzi piuttosto che distruggere un Mito.


Warum warum
cast cast & credits
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 

 


 

 

 

 



 







Miriam Goldschmidt
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