drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Il “monello” afghano

di Luigi Nepi
  Una scena del film
Data di pubblicazione su web 03/09/2008  

Visto che i film in concorso sembrano fatti apposta (Miyazaki a parte) per non suscitare particolari entusiasmi, ecco che nelle sezioni collaterali può capitare di imbattersi in piacevoli sorprese, come questo Kabuli kid, collocato nella “Settimana internazionale della critica”. Prima dell’occupazione da parte dell’Unione Sovietica, l’Afghanistan era il paese più democratico ed occidentalizzato del medioriente, mentre Kabul non aveva niente da invidiare alle nostre metropoli. Passati quasi trent’anni da quel Natale del 1979, dopo una devastante teocrazia talebana ed un’altrettanto devastante guerra ancora in corso, ecco che questa città si ritrova a fare i conti con una realtà profondamente diversa. Tutto a Kabul deve essere ricostruito o reinventato: i palazzi, le strade, la corrente elettrica, persino le regole («non funziona niente in questo paese» commenta un poliziotto). Anche il cinema deve ricominciare daccapo e Barmak Akram riparte proprio dall’inizio, “rubando” a Chaplin l’idea (e il titolo) del suo primo lungometraggio: The Kid (Il monello).




Un tassista carica sulla sua auto una donna totalmente coperta dal tchadri, con un bambino in braccio. Il neonato viene abbandonato dalla madre nella vettura e il tassista inizia a girare per la città cercando una soluzione. Alla fine è costretto a portare a casa il piccolo. Per caso entra in contatto con una O.N.G. che si offre di ricompensare con 100 dollari la madre se risponderà ad un annuncio di Radio Kabul. Si presenteranno numerose “madri”, tutte nascoste dal tchadri: il tassista riconoscerà quella vera da un neo sulla caviglia.

A parte qualche manierismo alla Kiarostami (le macerie, i viaggi in auto, ma, d’altra parte, il protagonista è un tassista) Kabuli kid è un film ben riuscito, che restituisce un’immagine vera e forte della città afghana, dove si avverte la “flagranza” di ciò che viene mostrato, come già si era visto a Venezia lo scorso anno con il Libano di Sous les bombes. Il regista tratteggia una Kabul operosa e vogliosa di riprendersi; senza, peraltro, cercare di nasconderne limiti, facendoci vedere anche il buio totale che scende durante la notte sulle strade sconnesse e non illuminate, il coprifuoco, i blindati dei posti di blocco, le case senza elettricità, l’eco degli spari e delle esplosioni, e tanti uomini senza gambe, cicatrici viventi di ferite ancora aperte. Akram, dimostrando di aver capito la lezione di Chaplin, metabolizza il tutto con leggerezza e vivacità, riuscendo a giocare sui registri della commedia, inanellando gag, personaggi e battute, anche autoironiche, inusuali per la filmografia mediorientale («Abbiamo ballato la musica russa, abbiamo ballato quella pakistana e ora balleremo il rock’n’roll» oppure «Kabul e Kalašnikov» come parola d’ordine e controparola per potersi muovere dopo il coprifuoco).




Troppo spesso il cinema proveniente da quella parte del mondo viene accostato al neorealismo italiano, ma, in questo caso, scomodare un parallelo con il Rossellini di India può non essere azzardato: le inquadrature dall’alto con cui il film si apre e si chiude, il punto di vista scelto e quell’immagine di caos organizzato o di anarchia disciplinata, che ne deriva, non possono che rimandare all’opera rosselliniana. Accostamento meritato per un film che ha strappato uno degli applausi più sinceri della mostra.


Kabuli kid
cast cast & credits
 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013