Che il film di Semih Kaplanoglu sia pieno di buone intenzioni non è da mettere in dubbio, come non sono ignote le qui confermate capacità di finezza e di introspezione psicologica, né la serietà di indagine sulla società turca in trasformazione di cui il regista è attento indagatore. Quindi il suo film non va certo ad arricchire il lastrico dellinferno. Però. Però patisce appieno di un certo velleitarismo stilistico e di una certa ricorrente simbologia che riescono ad offuscare le molte qualità e che, nellansia di collocare il prodotto tra gli scaffali della “qualità”, non risparmiano certo sprofondi di noia e, alla fin fine, di fastidio.
Perché caricare di pesi sproporzionati una storia semplice-semplice come quella del rapporto tra una madre laboriosa e vibratile e un figlio fragile e sognatore sullo sfondo di una società che cambia? E soprattutto perché caricarla di bellurie autoriali, rallentamenti esasperati, fermi immagini, zoom estremi etc? Facendole perdere tutto lincanto di un flusso narrativo di episodi ben concatenati, in un montaggio che rende con efficacia il progressivo allontanarsi degli affetti, la capacità materna di ricostruzione di una vita e lo smarrimento che diviene sbandamento del giovane.
Le riprese del film in Anatolia
Sarebbe stato anche opportuno, e questo da un punto di vista drammaturgico, levargli almeno lepilessia che, facendone un caso patologico, attenua molto lesemplarità della vicenda che il bel viso sognante e progressivante incupito del bravo protagonista era riuscito ad incarnare, nella quotidianità frustrata del suo aiuto domestico (è accanto alla madre nei mercati a vendere i prodotti della campagna, gira di casa in casa a vendere il latte prodotto dalla sua fattoria) e in quella più segreta ma altrettanto deludente delle sue passioni di scrittura poetica. Fino alla resa finale che lo vede irriconoscibile nel volto, ma certo anche nellanimo, inserito in una squadra di operai che lavorano alla luce di torce elettriche nella no men land di un cantiere .
Veniamo informati dal regista che Sut è la seconda parte di una trilogia che percorre a ritroso la vita di un poeta dalletà adulta fino allinfanzia e che questo capitolo esplora la perdita dellinnocenza e il distacco dalla madre e limpatto di questa separazione non soltanto attraverso le sue implicazioni sociali ma attraverso una prospettiva “cosmica e metafisica”. Può darsi che la visione compiuta della trilogia, attraverso suggestioni e rimandi interni, renda lopera coerente e più risonante. Da questo secondo passo possiamo solo osservare che minori intenzioni e minori esercizi non sarebbero stati “meno cinema”.
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